Io e Curzio Malaparte c’eravamo già incontrati, tanti anni
fa. Frequentavo i primi anni del liceo e una cara amica (molto più grande di me),
mi aveva consigliato di leggere il suo romanzo più famoso: “La pelle”. “Vedrai
– mi disse – lo troverai istruttivo e appassionante.
Ecco, magari un po’ crudo, ma certamente avvincente”. Lessi le prime venti
pagine, non di più, e lo abbandonai. Forse primo caso, allora, di libro
iniziato e non finito. Con tutto il rispetto per chi me lo consigliò, lo trovai
piuttosto noioso, confusionario e indiscutibilmente pesante, sia come termini
usati che come scorrevolezza del testo. Per la cronaca, il libro era ambientato
nella Napoli post liberazione nazista da parte degli americani. Di più non ricordo. Sono passati
quasi 15 anni, più o meno, e Malaparte è tornato sul mio comodino, stavolta
però, nelle vesti di “Kaputt”. Perché questa scelta? Perché la via dove sono
andato ad abitare è via Malaparte e visto che il destino aveva concesso al
defunto scrittore una seconda chance di entrare nella mia vita, non mi sono
sentito di non tendergli la mano e non concedergliela. Grave errore. Kaputt si
è rivelato fratello gemello de La pelle, con l’unica differenza
che, un libro noioso, letto adesso, si riesce a finirlo comunque, magari
impegnandocisi un po’ di più.
Ma quindi, Kaputt, che storia racconta? Bella domanda. E’,
direi, una serie di episodi realmente vissuti dall’autore, che tra il 1941 e il
1943 ha
gironzolato per l’Europa in guerra, in qualità, un pò di ufficiale dell’Esercito
Italiano, un po’ di diplomatico e un po’ di inviato di guerra per un giornale.
Se da una parte, la ricostruzione dettagliata e precisa di ambienti e
personaggi realmente esistiti è molto interessante dal punto di vista
storiografico, dall’altra, il soffermarsi righe e righe su dettagli di oggetti
o caratteri di persone, rende il testo molto arzigogolato e alquanto
ripetitivo. Insomma, riprendete la suddetta descrizione de La pelle e
riportatela a Kaputt. Il senso non cambierà. Va sottolneato, molto bello davvero, il soffermarsi dell'autore su
racconti di guerra, certo crudi e crudeli, ma efficaci, come la storia dei
cadaveri dei cavalli incastrati in un lago ghiacciato in Finlandia, o il
racconto del pogrom ebraico in un villaggetto della Moldavia. Peccato poi,
perdere un milione di punti quando metà dei dialoghi del libro (e non sono
pochi), sono in francese e tedesco. Senza un filo di traduzione. Neanche nelle note.
Che
dire. Mi sento di fare i complimenti al fu Curzio, per la vita avventurosa che
deve aver vissuto, e anche per aver trovato il tempo, quasi ogni giorno, di
prendersi appunti e poi trasformarli in libro. Però, caro Malaparte, anche se
dovremmo rimanere in buoni rapporti, visto che parcheggio la macchina sempre
sotto la tua targa, devo confessarti che il tuo libro, stavolta, a differenza
di altri in altri post, non lo consiglio a nessuno, a meno che uno non abbia una
passione sconfinata per la storia, google translate a portata di mano e il vezzo di
sapere com’era Himmler da nudo. Avessi detto Edda Ciano.