Venezia

VENEZIA (ovvero equivoci alla siciliana)



Nella stanza, l’unico rumore era quello del ventilatore appeso al soffitto, che pigramente girava le sue pale e smuoveva l’aria, quel tanto che bastava a non impazzire per il caldo. Le finestre erano chiuse, forse per evitare che qualcuno si gettasse di sotto, forse per evitare che entrassero zanzare. L’obiettivo, nel caso della seconda ipotesi, era comunque fallito, in quanto lo spazio era invaso da piccole farfalle che giravano intorno alla luce e da altrettante piccole zanzare, già grasse e gonfie di sangue. Il colore dominante era il grigio. Grigi i muri, grigie le porte, grigie le due scrivanie vuote, grigie le sedie, gli armadi e la grande panca dove sedevano tre persone, affianco ad una porta, in attesa di essere ricevute. Al centro c’era un uomo, vestito con un bell’abito elegante grigio, calzini celesti e un fazzoletto, anch’esso celeste, che spuntava dal taschino. Nonostante il caldo sembrava appena uscito dalla doccia: senza una goccia di sudore e perfettamente a suo agio, come se stesse ad aspettare un treno in stazione. Alla sua destra, nel lato della panchina più vicino alla porta, c’era invece una giovane ragazza, sui venticinque anni, vestita con un bell’abito estivo rosso, magra ma con un seno abbondante che senza imbarazzo, esibiva per tre quarti fuori dal vestito. La ragazza sembrava decisamente accaldata ma non aveva nulla con cui sventolarsi e quindi si limitava a sbuffare ogni tanto, senza che nessuno dei due compagni assecondasse i suoi lamenti. Al lato sinistro dell’uomo, c’era invece una signora, decisamente più grande sia della ragazza sia del tale, vestita anche lei con un bell’abitino estivo a fiori, ma senza la bella figura esile della ragazza. Il corpo era rotondetto e seppure i seni erano decisamente grandi, non facevano a loro volta l’effetto sensuale di quelli della ragazza. Anche la signora sembrava accaldata ma lei si sventolava con un bel ventaglio nero, con disegnate due ballerine di flamenco in abiti tradizionali.

Trascorsero altri minuti in attesa, in religioso silenzio, quando la porta alle loro spalle si aprì e uscì un giovane appuntato dei carabinieri: “Il signor Salanistri prego”, disse in tono serio e attese che l’uomo elegante entrasse per poi chiudere la porta alle sue spalle. Nella stanza del maresciallo capo, il mobilio ed il colore non erano diversi da quelli della sala d’attesa, ma c’era una bella libreria sulla sinistra e la grande finestra alle spalle del maresciallo era spalancata e dava per metà sul muro del palazzo di fronte, per l’altra sul mare, con la Laguna Veneta che si intravedeva nel buio della notte. L’uomo elegante si accomodò su invito del maresciallo e l’appuntato prese posto sul suo tavolino, per trascrivere a macchina il colloquio. Il maresciallo era un uomo di mezza età, moro, con begli occhi verdi e baffi curati. Scrutò l’uomo elegante per qualche secondo, e il signor Salanistri intravide nel suo sguardo quasi un accenno di stupore, visto che solitamente era abituato ad interrogare ladruncoli vestiti con abiti molto meno raffinati. “Dunque – il maresciallo aprì il discorso – lei è il signor Santo Salanistri, di anni 30, nato a Catania. Mi conferma?” L’uomo elegante confermò e tirò fuori un pacchetto di sigarette, chiedendo se potesse fumare. “Faccia pure signor Salanistri – disse il maresciallo – nel frattempo però ascolti cosa ho da dirle e poi mi racconti lei qualche cosa. Allora, qui abbiamo una denuncia per schiamazzi notturni, danneggiamento di proprietà privata e resistenza a pubblico ufficiale. La resistenza a pubblico ufficiale non è a suo carico. Ma restano le altre due accuse. Quello che le chiedo signor Salanistri è, come mai alle due del mattino di una innocente notte di metà agosto, l’hotel Roma di Venezia ci chiama per dirci che ci sono tre persone che stanno mettendo a soqquadro una camera e che stanno svegliando tutto il vicinato? Mi vuole dire cosa è successo?”. L’uomo elegante tirò ancora un soffio alla sigaretta e poi la lasciò spegnersi sul posacenere, prendendosi qualche secondo per riflettere su come esordire, poi fece un profondo respiro, e in un italiano molto sicilianizzato cominciò: “Maresciallo, innanzi tutto mi faccia ringraziare lei e i suoi uomini per il trattamento avuto. Né una manetta, né un urlo, nulla. Davvero grazie. Devo dire che vista la situazione che avevamo creato, ci è andata molto bene. Magari fossero tutti come voi”. E nel dire questo si girò a guardare l’appuntato, come a voler comprendere anche lui nei ringraziamenti, nonostante né l’appuntato né il maresciallo si fossero recati all’albergo. “Dopo di che Maresciallo – continuò il signor Salanistri – debbo dirle che purtroppo sì, si è venuto a creare un disdicevole equivoco tra me e le due signore fuori, o meglio tra me e mia moglie, e la signorina di fuori. Vede, io e mia moglie Dorotea, siamo qui a Venezia in viaggio di nozze e abbiamo preso una camera all’hotel Roma. Siamo all’ultimo piano, lo stesso della signora che è qui fuori e che, se non ho capito male, si chiama Anna. Bè Maresciallo, la signorina deve essere caduta in un banale equivoco, perché dice di conoscermi e dice di essere la mia futura moglie, nonostante io non l’abbia mai vista ed ella abiti a Palermo. Sì Maresciallo, si tratta di un equivoco alla siciliana. Bè, come le dicevo, la signorina Anna, mentre io e mia moglie eravamo a cena nel ristorante dell’albergo, è venuta al nostro tavolo per salutarmi e per chiedermi cosa ci facessi lì con quella donna. Al che mia moglie ha chiesto spiegazioni, che naturalmente io non ho saputo dare, in quanto non sapevo proprio chi fosse la ragazza che avevamo di fronte. Il problema è che la ragazza, prima si è seduta al suo tavolo senza dire nulla, poi è salita con noi in camera, quando ci siamo alzati, e lì ha continuato a dire che ero il suo futuro marito, alzando la voce e costringendomi a chiederle di andarsene. Finché poi non è intervenuta anche mia moglie e a quel punto le cose sono un po’, come dire, sfuggite di mano. Mia moglie ha aperto la porta della camera per prendere un ombrello da usare per minacciare la ragazza, a sua volta la ragazza è entrata nella nostra stanza per prendere una abat-jour e usarla come scudo. Dopo di che è successo quello che è successo finché non è salito il personale dell’albergo e poi i suoi colleghi in divisa”.

Il maresciallo ascoltava con attenzione ed ogni tanto prendeva qualche appunto su una agenda. Quando l’uomo elegante finì di parlare, il maresciallo attese che l’appuntato sistemasse il nuovo foglio per la macchina da scrivere e poi si rivolse a Salanistri: “Signor Salanistri, ha idea per quale motivo una sconosciuta palermitana, che per quanto ne sappiamo è sola, in vacanza a Venezia, dovrebbe venire al suo tavolo e dichiarare non solo di conoscerla, ma di essere la sua futura moglie? Che idea si è fatto lei?” L’uomo elegante non esitò un momento poiché si aspettava questa domanda, così che tirò su il mozzicone di sigaretta quasi spento dal posacenere, diede l’ultimo tiro e poi rispose: “Maresciallo, nella nostra regione, le femmine, sono un po’ pazze. Come si dice? Sarà il caldo, sarà quello che mangiamo, sarà il sangue, ma ogni tanto qualcuna impazzisce. Le nostre femmine sanno essere calorose e genuine, ma allo stesso tempo, dove c’è il lato positivo dell’essere calorose, c’è anche quello negativo, e in questo caso, secondo me signor Maresciallo, la signorina è semplicemente impazzita e si è convinta di conoscermi, scambiandomi evidentemente per un altro. D’altronde la cosa non mi stupisce, sa? Sono alto, moro e ho occhi scuri, praticamente siamo tutti uguali giù da noi, ci può stare che ci si confonda. Io per me, chiuderei la questione qui e naturalmente mi prenderò l’onere di pagare metà delle spese per quello che è accaduto nella stanza”. Il maresciallo fissò Salanistri e per un momento, cercò di immaginare la Sicilia, come la vedeva attraverso quello che aveva letto nei libri di scuola in Germania, o per quello che appariva in Tv, quando la sera amava guardare i documentari. La madre del maresciallo era una tedesca tutta d’un pezzo, donna di sani principi capace di slanci di grande amore, come di grande severità, quando il piccolo Marco non obbediva subito a quello che gli veniva detto di fare. Il maresciallo, che per sua fortuna aveva ereditato il carattere veneto del padre, era adesso immobile sulla scrivania, a fissare l’uomo elegante di fronte a lui e a cercare di capire quanto potesse davvero credere, l’uomo elegante, alle parole che aveva appena pronunciato. “Signor Salanistri, io non sono mai stato in Sicilia purtroppo, ma nonostante questo ho molta difficoltà a credere che la signorina là fuori soffra di allucinazioni. E anche se fosse una cosa tipica del sangue delle vostre donne, continuo a ritenere che non possa essere così pazza da scambiarla per un altro anche dopo ore che siete stati a contatto. Io credo, signor Salanistri, che invece voi vi conosciate eccome, ma che lei non voglia far si che gli altri lo sappiano. Signor Salanistri, le ricordo che è di fronte ad un pubblico ufficiale, quindi gradirei che mi dicesse tutto e che mi aiutasse a ricostruire questa storia, prima che sia costretto ad interrogare le altre due donne. Io la posso capire. Magari ora è con sua moglie e non vuole che si sappia che quella signorina è una sua amica. Ma a me può dirlo. Anzi, deve dirlo”. “Signor Maresciallo – fece Salanistri con aria stupita – dubita delle mie parole? Tralasciando le miei e le sue opinioni personali sulle donne, atteniamoci solo a quello che le ho detto, e cioè che non ho mai visto la signorina Anna e che non so spiegarle perché lei sia convinta di conoscermi”.

Il Maresciallo appuntò ancora qualcosa nell’agenda, dopo di che congedò Salanitri e chiese all’appuntato di far entrare la signora Dorotea. Quando la vide entrare pensò subito alla sua maestra delle elementari, identica, se non fosse che la signora davanti a lui era mora mentre la signorina Annette era bionda. Annette le era simpatica e quindi di riflesso, anche la signora Dorotea gli fu subito simpatica, tanto meglio, perché era intenzionato a capire la verità su quello che gli aveva detto il marito, proprio attraverso quello che la moglie avrebbe detto di lui. “Si accomodi – le fece – lei è la signora Dorotea Traina, nata a Randazzo, in provincia di Catania, vero?” La signora rispose di sì e si sistemò subito il vestito ed i capelli, perché si rese conto di trovarsi di fronte ad un uomo alquanto affascinante. Poi vide la sigaretta spenta nel posacenere e riconobbe la marca che fumava il marito. “Mi scusi per Salvo sa – esordì – non riesce a non fumare nemmeno in situazioni in cui sarebbe meglio non farlo. Ma sa, è fatto così”. Il Maresciallo impiegò qualche attimo a capire cosa intendesse dire, poi vide che la signora stava fissando il posacenere e capì. “Non si preoccupi signora, qui fumano sempre tutti, preferisco che le persone si mettano a loro agio, così poi posso torchiarle meglio” E sorrise, guardando la signora negli occhi con uno sguardo complice. La signora rise di gusto, come se in quel momento si trovasse a cena fuori piuttosto che in una Stazione dei Carabinieri. “Lei deve volere molto bene a suo marito signora – incalzò il maresciallo – so che siete qui in luna di miele, ma da quanto vi conoscete?” “Per la verità – disse la signora Dorotea - ci conosciamo da appena un anno e siamo stati fidanzati per soli nove mesi. Ma abbiamo deciso subito di sposarci perché entrambi avevamo fretta di andare a stare finalmente insieme e formare una famiglia. Come vede signor maresciallo – disse scherzando – io non sono più una giovinetta, ho quarant’anni e per me aver trovato qualcuno che mi ama e che mi abbia voluto sposare con così tanto trasporto, è stata una sorpresa, oltre che un mezzo miracolo – e rise ancora, stavolta in maniera meno sincera - Per quanto riguarda Salvo, bé lui ha solo trent’anni, solo nel senso che rispetto a me è più giovane, però anche lui ha sempre sognato di avere una famiglia, quindi è stato ben felice di accelerare i tempi e sposarsi”.

Il Maresciallo ascoltava con attenzione la signora e nella sua mente immaginava di scegliere pezzi di puzzle e di incastrarli piano piano, anche se era ancora ai bordi e non c’era una immagine definita al centro. “Signora – fece con aria curiosa – suo marito cosa fa nella vita? Cosa faceva prima di sposarla?” A questo punto la signora, ancora un po’ stordita da tutte quelle attenzioni, si sciolse definitivamente: “Mio marito, Salvo, faceva il rappresentate. Dico faceva perché prima di sposarci si è licenziato. Mio padre lo ha assunto nella nostra attività giù a Catania e quando torneremo lui diventerà il vice presidente. Mio marito faceva il rappresentante di elettrodomestici ed era anche bravo. Si figuri che proprio così l’ho conosciuto. Un giorno ha bussato alla mia porta e mi vedo davanti questo bel ragazzo che mi chiede se può entrare e mostrarmi qualche articolo. Si figuri se non l’ho fatto entrare. E poi da lì, una chiacchiera tira l’altra, ho anche comprato un frullatore e un tosta pane. Quando è tornato a consegnarmeli, mi ha chiesto se poteva invitarmi a prendere un caffè. Poi il resto è stato un fulmine a ciel sereno. Anzi, come si dice, no, un colpo di fulmine. Ecco. Ma adesso sono finiti i tempi delle camminate porta a porta nelle case di mezza Sicilia. Salvo avrà finalmente la sua occasione. Noi giù abbiamo ettari ed ettari di ulivi, vite e piante di limone e mio nonno ha fondato una ditta che produce olio, vino e limoncello. Tutte cose artigianali. Grazie a Dio si vende bene, non solo da noi, ma anche in tutto il sud Italia e a Roma. E quindi possiamo permetterci una vita agiata e Salvo presto aiuterà mio padre nel lavoro. Soprattutto a tenere un po’ i conti”. Il Maresciallo vide l’orologio e si accorse che erano appena scoccate le quattro del mattino. Per un attimo continuò a fissare l'orologio e vide che cominciava ad usurarsi. Forse sarebbe stato meglio farsene regalare uno nuovo a Natale. Di questo passo avrebbe di certo fatto l’alba ma non voleva mandare via i tre solo facendogli pagare i danni. Sentiva che sotto c’era altro ed era certo che lo avrebbe capito presto. E ricominciò: “Signora Traina – disse il maresciallo, sentendosi subito rispondere di chiamarla Dorotea che era meglio – e allora Dorotea – disse – me lo racconta un po’ cosa è successo questa sera? Mi dispiace interromperla e riportarla alla triste realtà sa, ma qui abbiamo un problemino niente male e suo marito mi ha un po’ raccontato sì, ma ha omesso tanti particolari. Lei cosa mi dice? Cosa ne pensa di questa storia?” Dorotea fissò fuori dalla finestra e sembrò realizzare solo ora dove si trovava e quello che era accaduto. “Maresciallo, che vuole che le dica, io sono a cena con mio marito, siamo a Venezia in viaggio di nozze e sono la donna più invidiata di tutta la sala. Ho davanti a me un uomo che mi ama e che presto mi renderà madre, io sprizzo gioia da tutti i pori e noi sembriamo così felici. E’ normale che due così suscitino l’invidia di alcuni, soprattutto di alcune. Che le devo dire. Questa ragazza avrà avuto un attacco di invidia nei nostri confronti, magari ha alle spalle un matrimonio fallito non lo so, fatto sta che ha voluto rovinare la nostra quiete facendo quella scenata, spacciandosi per qualcuna che conosceva mio marito. Dicendo che era la sua amante pensi! Che sorpresa poi sentirla parlare in siciliano, che davvero noi siciliane siamo quanto di più morigerato, pacato e servizievole. Mai mi sarei aspettata una cosa del genere da una conterranea”. “Quindi secondo lei – la interruppe il maresciallo – davvero suo marito non aveva mai visto quella donna e si è trattato di una svista da parte di lei? Ma poi scusi, perché vi ha seguiti fino in camera? Perché nel momento in cui le avete detto che c’era un equivoco, lei ha continuato a seguirvi? Cosa voleva?” “Continuava a dire che Salvo era un bastardo, mi scusi la parola maresciallo – fece lei – che le aveva fatto mille promesse e che per colpa sua, lei aveva perso l’onore e forse non sarebbe più nemmeno potuta tornare a casa dai genitori. Al che, quando dopo qualche minuto ho visto che Salvo non diceva nulla e quella ragazza continuava a sbraitare, sono intervenuta io e le ho detto di andarsene altrimenti avrei chiamato la polizia. A quel punto la ragazza mi ha letteralmente fulminata con lo sguardo e ha provato a colpire Salvo con uno schiaffo. Lui si è difeso e io non c’ho visto più. Confesso signor maresciallo di averla spintonata e poi di essere entrata in camera per cercare qualche cosa con cui cacciarla via. Poi è successo quello che è successo. Quella pazza è entrata in camera e ha cominciato a lanciare cose. Io ho perso la testa e le ho risposto. Finché non sono arrivati i carabinieri”. “E mentre succedeva tutto questo, suo marito dove era? – chiese il Maresciallo.

La signora Dorotea si bloccò di colpo e stavolta rimase sorpresa dalla domanda. Non ci aveva ancora pensato e quando focalizzò la scena, si rese conto che effettivamente suo marito non era in camera. Fissò la laguna fuori alla finestra ma stavolta per pensare attentamente a cosa dire. Non c’era molto da dire se non la verità. Mentre lei e la ragazza si stavano lanciando mezza camera, suo marito era fuori dalla stanza. “Mio marito era fuori – riprese Dorotea – io ero nella stanza con quella pazza che mi lanciava posaceneri e lampade e Salvo era fuori dalla stanza. Forse era andato a chiamare aiuto. Forse era venuto a chiamare voi.” “Ne dubito signora –fece il maresciallo – la chiamata l’abbiamo ricevuta dal personale dell’albergo e l’abbiamo ricevuta pochi minuti dopo che eravate saliti in camera, quindi ancor prima che cominciaste a lanciarvi oggetti. Evidentemente il personale dell’albergo doveva aver capito che ci sarebbero stati problemi. Quindi Dorotea, perché suo marito non è intervenuto per difenderla, secondo lei?”. La donna rimase perplessa e per la prima volta dall’inizio del colloquio, diede al maresciallo l’impressione di essere finalmente scesa dalle nuvole e di aver capito in che si situazione si trovava. “Maresciallo, io non lo so perché mio marito non è entrato in camera. Suppongo che avesse avuto paura di essere colpito da qualche cosa o forse semplicemente era confuso, non lo so. Fatto sta che questo è quello che è accaduto e io spero di poter presto continuare questo nostro viaggio. Sa che tra due giorni abbiamo un treno per Vienna?”.
Il Maresciallo sorrise e chiese all’appuntato di accompagnare la signora e di chiamare la terza persona. Poi alzò la cornetta e chiese di mandare qualcuno nella sala d’attesa per controllare cosa facessero i due e per evitare che parlottassero tra di loro, mettendosi d’accordo sulla versione da dare. Quando vide entrare la ragazza rimase di stucco. Era di una bellezza da mozzare il fiato e l’aria accaldata la rendeva ancora più sensuale. L’essere cresciuto in Germania gli dava gusti in fatto di donne che lo portavano a preferire il biondo, ma la ragazza mora che aveva davanti lo lasciò senza fiato e gli fece immaginare di voler presto andare a visitare la Sicilia. Dei tre con cui aveva parlato, la ragazza sembrava quella decisamente più scossa. Era ancora rossa in volto e il trucco le era leggermente calato, soprattutto intorno agli occhi, dove doveva aver pianto. Si era sistemata alla meglio ma si capiva che dei tre, era quella che era più coinvolta nella questione, pazza o non pazza che fosse. “Lei è la signorina Anna Cannavò vero? Nata 25 anni fa a Palermo. Conferma? – fece il maresciallo – cercando di concentrarsi in tutti i modi per non fissarle la scollatura. “Si sono io – rispose la ragazza e tirò fuori dalla borsetta un fazzoletto per soffiarsi il naso. Il maresciallo le diede qualche secondo e fece portare dall’appuntato un bicchiere d’acqua. Si rese conto che con gli altri due non aveva avuto questi riguardi e capì che doveva stare attento a non farsi ammaliare troppo dalla ragazza ma cercare di rimanere concentrato sul caso. “Signorina Anna – cominciò – innanzi tutto le ricordo che lei è qui, in quanto accusata di aver distrutto il mobilio di una camera di albergo, di aver disturbato la quiete pubblica e di aver strattonato un pubblico ufficiale che voleva placarla. E’ chiaro che non è una bella cosa e francamente non posso dire che mi capitino tutti i giorni episodi come questi. Ma prima di cominciare le voglio fare una domanda diretta: cosa ci fa da sola a Venezia? Se è da sola naturalmente”. Anna sistemò il fazzoletto nella borsa e l’appoggiò sotto la sedia, con un movimento che fece nuovamente mancare il fiato al maresciallo e maledire la sua posizione all’appuntato, troppo indietro per poter vedere alcunché. “Signor maresciallo, io mi trovo a Venezia perché sono stata invitata qui. Sono stata invitata a trascorrere tre notti nell’hotel Roma, nella stanza 404 del quarto piano. Sono stata invitata e non ho dovuto pagare nulla perché mi è stato offerto tutto. E la persona che mi ha invitata e che mi ha offerto alloggio e viaggio da Palermo, risponde al nome di Salvo Salanistri. Anche se a dire il vero scopro stasera che si chiama così. Pensi che con me si è sempre fatto chiamare Antonio. Antonio Lobello”.

Il Maresciallo sgranò gli occhi e non riuscì ad evitare che la ragazza se ne accorgesse. Era troppa la sorpresa per questa sua frase, non tanto per quello che aveva detto in sé, quanto per il fatto di essere stata così diretta, senza giri di parole. Guardò fisso l’appuntato, aspettando che finisse di scrivere, dopo che anche lui si era fermato un momento per la meraviglia. L’appuntato si scusò e proseguì, chiedendo che fosse ripetuto il cognome del signor Antonio. Il maresciallo si riprese dalla sorpresa e aggiunse un altro pezzo di puzzle nella sua mente, stavolta però non ai bordi, ma un bel pezzo centrale, in cui si intravedeva il volto di qualcuno. “Mi scusi signorina se sono rimasto un po’ sorpreso ma permetterà che quello che ha appena dichiarato lascia un poco stupiti. Lei ha appena affermato che un uomo sposato l’avrebbe invitata a seguirlo segretamente durante il suo viaggio di nozze. E mi scusi, ma in che veste? Lei come conosce il signor Salvo, o il signor Antonio se preferisce?” “Antonio – rispose la ragazza – l’ho conosciuto in un bar a Palermo, circa sei mesi fa. Mi ha offerto da bere e abbiamo chiacchierato tutto il pomeriggio. Poi mi ha offerto un altro caffè il giorno dopo e quello dopo ancora. Finché non è partito perché aveva un importante viaggio di lavoro nel continente. Poi ogni tanto tornava e il caffè stavolta me lo offriva in albergo, signor maresciallo, che mi vergogno a dirlo davanti a lei perché passo per una poco di buono, ma in questo momento in lei vedo la legge ed io chiedo solo un po’ di giustizia”. “Un po’ di giustizia? E per cosa signorina, questo Salvo le ha fatto qualche torto mentre eravate in Sicilia?” “Nessun torto materiale signor maresciallo ma un grande torto dell’animo. Antonio – non ce la faccio a chiamarlo Salvo mi scusi – mi ha raccontato un sacco di bugie e mi ha fatto innamorare di lui come una pera cotta. Ho litigato con la mia famiglia per lui e ho addirittura lasciato il lavoro di segreteria in uno studio medico. Si rende conto che razza di scema che sono? Scusi i termini.” “Si figuri – disse il maresciallo – ma come siete arrivati a questa storia della luna di miele? Perché lei è qui? Sapeva che lui si stava sposando?” “Signor maresciallo – riprese lei – confesso che lo sapevo ma l’ho saputo solo pochi giorni fa, quando il mio cuore era ormai troppo legato a lui per lasciarlo così. Le racconto. Qualche settimana fa Antonio viene a Palermo e mi dice che questa volta potrebbe essere l’ultima volta che ci vedremo a meno che io non accetti di fare una pazzia per lui. Si figuri che faccia ho fatto. Non sapevo cosa intendesse ma mai mi sarei nemmeno lontanamente immaginata di sentire quello che mi stava per proporre. Mi disse che lui era fidanzato a Catania e che si dispiaceva che non me lo avesse mai detto perché era convinto che presto avrebbe lasciato la fidanzata catanese e si sarebbe fidanzato con me definitivamente. Però mi disse che le cose si erano complicate, o meglio, mi disse che inizialmente si erano complicate ma poi si era creata una situazione interessante. Il padre della sua ragazza gli aveva offerto un lavoro nell’azienda di famiglia ma a patto che lui l’avesse sposata. Lui mi disse che non amava affatto questa Carmelina – che lui la chiamava Carmelina poi ho scoperto chiamarsi Dorotea – ma che per lui sarebbe stata l’occasione per avere finalmente una vita agiata e potersi riscattare dopo una vita di lavori umili e scarpe rattoppate a  mano. Mi disse però che amava solo me e l’idea di non potermi più vedere lo avrebbe presto ucciso. Così mi fece una proposta signor maresciallo, che Dio mi fulmini ora per aver anche solo pensato di ascoltarla e invece gli ho anche detto di sì. Mi disse che avrebbe sposato Carmelina e che avrebbe accettato il posto nell’attività ma mi disse anche che presto sarebbe fuggito di casa portandosi via più denaro possibile e portando via me con lui, verso l’Argentina”. Il maresciallo aveva smesso di prendere appunti e adesso ascoltava attentamente la versione della ragazza. Sapeva per certo che ogni singola parola che stava dicendo era vera e che presto avrebbe messo il bel giovane elegante con le spalle al muro. “Va bene – disse il maresciallo – ma cosa c’entra il viaggio di nozze, perché far venire anche lei, non poteva semplicemente aspettare qualche settimana a Palermo, finché lui non fosse venuto a prenderla con i soldi?” La ragazza abbassò lo sguardo e attese di prendere coraggio, poi rispose: “Signor maresciallo, io questo proprio non glielo so dire. Antonio mi ha chiesto di venire perché voleva che ci fossi anche io. Disse che la notte voleva uscire dalla camera e venire da me. Io ho semplicemente detto sì, perché se non fossi venuta qui non lo avrei visto per settimane e chissà quando lo avrei riavuto per me. Quindi ho detto sì perché avrei voluto vederlo e questo era l’unico modo”. Il maresciallo prendeva nota mentalmente ma ancora non riusciva a collegare tutte le parti. “Signorina, a questo punto però la domanda viene spontanea: perché è uscita allo scoperto? Perché ha fatto quella scenata stanotte e si è fatta vedere? Così le è saltata la copertura? Cosa l’ha spinta a farlo?” “Signor maresciallo, forse non le ho detto proprio tutto. Ma tant’è, ormai mi sono confessata con lei e finisco. Io sono incinta. E sono incinta di Antonio. Non si vede ancora nulla ma ho la certezza perché ho fatto delle analisi e sono appena finiti i due mesi. So di per certo che l’unico uomo che ho avuto è lui. Quindi io aspetto un bambino da lui. Quando ero a cena nel ristorante, qualche tavolo in là rispetto a quello di Antonio, ho visto che baciava la moglie e non c’ho visto più. Sapesse quante volte mi ha detto che mi amava, quante promesse mi ha fatto. Sì, è vero che dice di amare solo me e di voler fuggire con me, ma io lo voglio e lo voglio ora, non ho sopportato l’idea di vederlo con un’altra donna, per quanto signor maresciallo, non ho nulla contro quella signora”. Il maresciallo riprese l’agenda e cominciò a disegnare dei rettangoli e delle frecce, come se stesse collegando dei pensieri disegnati su carta. “Allora ricapitoliamo signorina Anna: il signor Salvo e lei siete, diciamo così, fidanzati a Palermo e questo per cinque mesi, finché qualche giorno fa lui non le dice che in realtà ha una donna a Catania che sta per sposare. Le propone di aspettarlo finché non si sposerà e non riuscirà a fuggire di casa portandosi via tanti soldi quanto bastano per andare in Argentina a rifarsi una vita. In più, le dice che la ama alla follia tanto che vorrebbe la seguisse in viaggio di nozze, per poterla avere anche in questi momenti di intimità con la moglie. In tutto questo, lei è incinta e non ho ben capito se lui lo sa” “Lui non lo sa signor maresciallo, glielo avrei detto quando fosse venuto a prendermi per fuggire in Argentina”. “Bene – fece il marescicallo – questo cambia poco a mio avviso perché secondo me, se mi permette e senza offesa, il signor Salvo non ha intenzione di stare né con la presunta Carmelina né con lei. Ma questa è una mia opinione che mi sto facendo, si figuri se deve scoraggiare il suo amore per lui”.

Marco si alzò e si mise alla finestra, a respirare l’odore di salmastro che veniva dalla laguna. Presto la luce sarebbe apparsa all’orizzonte e anche il caso gli sembrava leggermente meno oscuro rispetto a prima. Adesso, era necessario parlare con Salanistri e metterlo di fronte al fatto che lui sapeva tutta la verità e non era più il caso di mentire. Congedò la ragazza e disse che poteva essere riaccompagnata in albergo, a patto che fosse rimasta in città e che si fosse ripresentata il pomeriggio successivo per essere riascoltata da un giudice. Chiese all’appuntato di far rientrare il signor Salanistri e poi si rimise seduto, pronto a gustarsi la scena. L’uomo elegante era rimasto perfettamente asciutto come lo aveva lascito prima e nonostante la notte inoltrata non sembrava dare alcun cenno di stanchezza né perdita di lucidità. “Signor Salanistri, devo dire che appena l’ho vista prima, mi ha suscitato un moto di simpatia, in quanto non capita tutti i giorni di dover interrogare persone distinte e ben curate come lei. Ma devo dire che ho presto rivisto la mia opinione su di lei, alla luce di quanto mi ha raccontato lei prima e dopo le due signore. Bé signor Salanistri, qui o loro sono impazzite o lei mi ha raccontato cose non vere. Anzi, mi scusi, non mi ha raccontato cose false, non mi ha proprio raccontato nulla. E’ sicuro di non voler provare a raccontarmi ancora cosa è successo veramente questa sera, prima che sia io a farle domande?” Il signore elegante non si scompose e continuò a guardare il maresciallo come se fossero sull’autobus e il carabiniere fosse un estraneo seduto di fronte. “Maresciallo – fece – come ha detto giustamente lei, io non è che le ho detto chissà che, io mi sono limitato a raccontarle cosa ho visto questa sera e a dare alcuni miei pareri personali sulle cose. Ma se lei mi farà delle domande dirette sarò lieto di risponderle, sempre considerando che sono accusato di rumori molesti e di aver rotto un vaso. Cosa che per altro non ho fatto. Quindi si figuri”. Il maresciallo provò ad entrare nella mente di Salanistri per capire come riuscisse a mantenere la calma in questo modo. La risposta gli arrivò subito ed era semplice: Salanistri non aveva fatto nulla e anche se fosse stata tutta vera la storia di Anna, non si poteva far nulla, ancor più un processo a delle intenzioni che erano solo state espresse a parole. “Signor Salanistri, qui abbiamo un verbale della signorina Anna che non dipinge un quadro lusinghiero nei suoi confronti. Lungi da me giudicare la sua morale, mi vedo però costretto ad entrare un pochino più nei dettagli in quanto io ho qui una denuncia rivolta a tre persone e le due signore ne hanno una piuttosto pesante, quella di resistenza a pubblico ufficiale, quindi devo capire di chi è la colpa di quello che è successo e decidere se mandarvi tutti a casa tra venti minuti o tenervi dentro, lei compreso, con possibilità che le due signore si facciano una decina di giorni. Io non vorrei rovinarle il viaggio di nozze più di quanto già sia stato rovinato, non crede? Per cui mi dica per quale motivo la signorina Anna dice di conoscerla e poi vedrò cosa fare”.

Si udì bussare alla porta e senza neanche aspettare risposta entrò un terzo carabiniere che, trafelato per la lunga corsa e il caldo, chiese di poter parlare. “E’ una cosa privata, Paladini o posso far rimanere il signor Salanistri?” – chiese il maresciallo. “Signore – riferì il nuovo arrivato – penso che sia importante che tutti sappiano. Ho personalmente riaccompagnato la signorina Anna in albergo e quando siamo arrivati le ho chiesto di controllare se fosse tutto in ordine o se mancasse qualche cosa dalla stanza. Bé a quanto pare la signorina ha subito un furto. Un grande furto visto che dice di non trovare più un sacchetto in cui aveva due milioni di lire in contanti e un sacchetto in cui aveva gioielli. La signorina dichiara che il valore dei gioielli si attesta almeno su un altro milione di lire. Il maresciallo sgranò gli occhi ma non ebbe l’istinto per girarsi a guardare la reazione di Salanistri. Quando lo fece era ormai troppo tardi, Salanistri aveva già tirato fuori il pacchetto di sigarette e ne stava accendendo una. “Ma non è finita signore – proseguì il carabiniere – per scrupolo ho fatto aprire anche la stanza dei signori Salanistri e abbiamo notato che rispetto a prima era stato aperto l’armadio. Quando siamo intervenuti prima la stanza era a soqquadro ma l’armadio era chiuso. Adesso era aperto e tutti i vestiti e le lenzuola erano gettati in terra”. Stavolta il maresciallo guardò Salanistri ma questi lo fissò e si limitò a chiedere di poter essere accompagnato in albergo per accertarsi che non mancasse nulla. Il maresciallo si alzò e chiese all’appuntato e al terzo carabiniere di seguirlo, disse a Salanistri di avvertire la moglie e insieme scesero le scale ed uscirono dalla Stazione. L’albergo era a poche centinaia di metri dalla Stazione, la città era deserta e adesso il cielo era leggermente illuminato dalle prime luci del mattino. Alle sei e mezza sarebbe finito il suo turno e prima di allora, Marco voleva scoprire la verità su quello che era successo. La notizia del furto lo aveva meravigliato. Poteva trattarsi di una coincidenza, di un semplice furto. Ma la cosa non lo convinceva ed era sempre più certo che Salanistri nascondesse qualcos’altro, non solo una relazione segreta e un tentativo di furto alla moglie. Arrivati nella hall dell’albergo, alcuni ospiti, svegliati dal trambusto, erano già in sala per la colazione, che il proprietario dell’albergo aveva cortesemente messo a preparare. Arrivati all’ascensore, Marco attese che scendesse una ragazza con una grande valigia marrone e poi salì, portando con sé la signora Dorotea, mentre gli altri facevano le scale. Arrivato al quanto piano trovò due carabinieri, ognuno di fronte alle due stanze dove era avvenuto il furto e un anziano signore che si presentò come il proprietario dell’albergo. Marco entrò per primo nella stanza della coppia e vide che il soqquadro era stato parzialmente ridotto, accatastando tutti i cocci e gli oggetti rotti da un lato della stanza. Andò verso l’armadio e prima di far entrare gli altri, cercò di vedere se c’era qualche cosa di sospetto. La porta non era stata forzata e anche la finestra sembrava a posto. L’armadio era spalancato e per terra c’erano gli abiti della coppia e alcune coperte pesanti. Nella parte bassa dell’armadio c’erano dei cassettini e una piccola cassaforte. I cassettini erano aperti mentre la cassaforte era chiusa. Marco fece entrare gli altri e chiese alla coppia di dirgli se mancasse qualcosa. La signora Dorotea lanciò un urlo e si gettò sui cassettini vuoti, strillando che le avevano portato via tutti i gioielli di famiglia. Il maresciallo chiese se ci fosse qualcosa nella cassaforte ma la signora disse che non l’avevano utilizzata “Abbiamo preferito lasciare i preziosi qui fuori per comodità. Chi se lo sarebbe aspettato che qualcuno sarebbe entrato in camera”. Il maresciallo si rivolse a Salanistri e chiese se potesse indicargli cosa mancasse effettivamente. “Avevamo lì diversi soldi in contati – disse – penso più o meno cinquecento mila lire e poi i gioielli di mia moglie, purtroppo cose molto antiche e preziose. Sia per il valore affettivo che materiale”. “Ma perché non li avete messi nella cassaforte mi domando” fece il maresciallo alla signora “Non lo so, le ho detto, pensavo che non ci sarebbe stato problema, vero Salvo, lo hai detto tu stesso che qui a Venezia non c’è pericolo, che era meglio che lasciassimo tutto qui che tanto era comodo non dover sempre aprire e chiudere la cassaforte. O mio Dio signor maresciallo, ho perso tutto. Tutto. Avevo la spilla della nonna di mia nonna. Una cosa fatta a mano agli inizi dell’ottocento. L’avevo fatta stimare e valeva più di dieci milioni di lire. La volevo mettere per il teatro dell’Opera a Vienna. O mio Dio ma lei me la ritroverà signor maresciallo? Mi dica di sì”.

Il Maresciallo le promise che avrebbero fatto il possibile, disse all’appuntato di diffondere la notizia anche alle altre forze dell’ordine e uscì dalla stanza per andare a parlare con la ragazza. La camera era nello stesso corridoio solo ad una porta di distanza. Salutò il carabiniere di guardia ed entrò dopo aver bussato. Anna era seduta su una sedia e leggeva un libro. “Signorina, sono venuto a chiederle come sta? E vorrei sapere se potesse dirmi quanto le è stato rubato”. La ragazza posò il libro sul tavolo e andò incontro al carabiniere. Nel frattempo si era cambiata di abito e adesso indossava scarpe leggere e un vestitino estivo decisamente più casto. Gli mostrò l’armadio, identico a quello della coppia, e i cassettini, vuoti. “Signorina, perché non ha usato la cassaforte? Non sarebbe stato meglio?” “Non posso toccarla signor maresciallo, ho una forte allergia al ferro e se entro in contatto con quel materiale rischio di farmi venire prurito alle mani. So che può sembrare strano ma è così. Se è proprio necessario lo tocco e rapidamente, ma francamente volevo evitare di toccare la cassaforte per una cosa che ritenevo inutile. Si figuri se mi aspettavo di essere derubata qui” “Scommetto che Antonio le ha anche detto che non ci sarebbe stato problema no? Che poteva fidarsi di lasciare tutto fuori dalla cassaforte, qui a Venezia” “Come lo sa – chiese Anna sorpresa – glielo ha detto lui?” Il maresciallo non rispose ma continuò a domandare: “Signorina, posso chiederle perché ha portato con se tutti quei gioielli? Anzi, quelli posso anche capirli, ma perché tutti quei contanti? Non aveva già pensato Antonio a pagarle tutto?” Anna attese qualche minuto per rispondere, come se stesse ricordando il motivo per cui effettivamente aveva portato tutti quei soldi. Poi ricordò e disse “E’ stato Antonio a dirmelo, ha detto che dovevo portare con me tutto quello che avevo, tutti i miei risparmi, perché poteva darsi che lui fosse impazzito senza di me e che vedendomi tutti i giorni e non potendomi avere, mi avrebbe chiesto di fuggire subito con lui, senza aspettare la fine del viaggio di nozze. Lo so, è terribilmente stupido, ma ammetto che in quel momento non capivo nulla. Ero innamorata pazza, la mia famiglia già non mi parlava più ed ero già certa di essere incinta. Non avevo nulla da perdere. Mi sono voluta fidare e l’ho fatto. Ho paura che adesso la mia unica soluzione sia quella di entrare in un convento. Lei che dice?”.

Il Maresciallo le disse che tutto si sarebbe risolto ma ormai Anna era ricaduta nei suoi pensieri e si rimise seduta sulla sedia, fissandosi le mani. Il maresciallo provò un forte senso di pietà ma anche rabbia, perché era evidente che la colpa di tutto fosse di Salanistri ma non era ancora in grado di dimostrarlo. Uscì dalla stanza e tornò in quella della coppia. Salanistri era sul balconcino e stava fumando una sigaretta. Il maresciallo disse agli altri che potevano tornare in caserma ma prima chiese all’appuntato di accompagnare al piano terra la signora Dorotea e di farle preparare un tè. Poi uscì sul balcone e vide l’alba su Venezia. L’albergo affacciava sulla laguna, verso sud, e il sole faceva ormai capolino all’orizzonte. L’aria era frizzante e adesso, l’odore del salmastro si mischiava a quello del pane caldo, che i forni stavano sistemando per la vendita. Il maresciallo chiese a Salanistri una sigaretta e la fumò, in silenzio, aspettando che il sole salisse ancora un po’ e seguendo il movimento di una nave che in lontananza stava navigando verso l’Adriatico. Poi Salanistri parlò, e Marco ne fu quasi sorpreso, convinto che sarebbe stato lui ad aprire il discorso.
“Sono nato da una famiglia poverissima. Mio padre lavorava in una bottega di calzolaio e mia madre andava nelle case della borghesia a lavare i loro panni. Eravamo cinque fratelli. Quattro maschi e una femmina. Io ero l’ultimo maschio. Quando le dico che eravamo poveri, eravamo poveri davvero. Io sono nato l’anno in cui è finita la seconda guerra, quindi in teoria avrei dovuto godermi solo i piaceri della pace e della ricostruzione. Ma giù da noi, in Sicilia, la guerra non è mai iniziata e forse, non è mai finita. Eravamo poveri prima, durante e dopo e quindi sono cresciuto così, con i vestiti sgualciti dei miei fratelli, con la terza elementare presa a malapena e con l’eterna fame. Perché mangiavamo sì, ma poco e prima di me dovevano mangiare i fratelli che lavoravano e che dovevano essere in forze. A tredici anni già lavoravo come capraro e tutte le settimane mi arrampicavo sull’Etna. Tornavo a casa solo il sabato e la domenica e sulla montagna dormivo in una specie di casupola in pietre. L’estate non si stava male, ma l’inverno nevica anche sotto i mille metri e il freddo mi entrava nelle ossa e non me lo levavo più. Ci sono delle notti in cui mi sveglio, ancora adesso, e sento il vento anche quando non c’è. E sento i passi dei ladri che cercano di portarsi via le bestie. Sento il respiro della montagna anche qui, che sono a centinai di chilometri di distanza. Si figuri che bello è stato quando a vent’anni ho trovato il lavoro da rappresentante. La paga era bassa ma se vendevi potevi fare un bel gruzzolo. Ed io vendevo. Eccome se vendevo. E più vendevo più capivo che chi comprava erano sempre e solo donne. Ma non perché siano le donne a comprare gli elettrodomestici. Li compravano perché ero io a venderli. Capii che piacevo alle donne. Che comprandomi vestiti un po’ più eleganti e mettendomi un profumo alla moda, potevo sedurre chiunque, soprattutto le signore di una certa età. E allora perché non approfittare. A volte vendevo frullatori, a volte vendevo me stesso. E più guadagnavo più potevo permettermi vestiti belli e scarpe nuove. Poi però mi sono stancato. Non ce la facevo più a dover sempre dare qualcosa di me per vivere. Volevo essere libero di scegliere un lavoro, volevo godermi un po’ di più la vita e soprattutto, volevo ricominciare da capo e da un’altra parte, dove nessuno mi conosceva e dove nessuno sapeva chi ero. Quando conobbi Dorotea capii che era arrivato il momento di lasciare la vecchia vita per la nuova. Ma non era sposandomi che sarei cambiato. Rimanendo a Catania, anche se ricco, sarei stato per tutti sempre il figlio del calzolaio. Io volevo andare via e per farlo avevo bisogno dei soldi di Dorotea. Anna è stata una cosa inaspettata. L’ho conosciuta in un bar a Palermo e per la prima volta ho capito che stavo corteggiando una donna che non sapeva nulla di me e che mi vedeva per quello che ero in quel momento. Un bell’uomo, elegante, distinto e con un lavoro di rappresentate che lo portava a spostarsi per tutta la Sicilia. All’inizio mi piaceva davvero ma poi sinceramente, detto da uomo a uomo maresciallo, ho capito che era una povera pazza. Lei sognava bambini, sognava di sposarsi in chiesa a Palermo, sognava di aprire una società con me e di viaggiare insieme per tutta la Sicilia e vendere elettrodomestici. Ma non scherziamo. Era arrivato il momento di lasciarla, ma non prima di aver portato via dei soldi anche a lei. Ecco perché ho organizzato questa cosa. Di Dorotea francamente non mi importa nulla. Domani probabilmente sposerà un altro morto di fame come me e il padre le comprerà una casa in collina e una al mare a Taormina, per le vacanze. Di Anna forse mi dispiace un po’ di più ma so già che una ragazza così bella troverà presto chi saprà consolarla. Quindi cancello anche l’ultimo barlume di umanità che ho nel cuore e me ne vado così. Domani lascerò Venezia con mia moglie e invece di andare a Vienna faremo ritorno a Catania. In fondo siamo molto stanchi. Io tra un mese sarò in un altro continente e forse un giorno ci rincontreremo io e lei, vecchi, su una nave da crociera, mentre io avrò passato la mia vita a dirigere una bella fabbrica in Argentina e lei ad inseguire ladri per tutta Italia. Che dice? Non le sembra una bella prospettiva? Le posso assicurare che se le racconto questo non è per sfotterla perché non potrà far nulla, ma è perché avevo voglia di sfogarmi un po’ e stanotte io e lei abbiamo giocato al prete e al confessore, quindi mi è parso normale dirle tutto sapendo che tanto manterrà il segreto”.

Marco aveva ascoltato tutto senza dire una parola. Aveva immaginato l’Etna e le signore di una certa età che si portavano a letto un ragazzetto vestito con un abito elegante, probabilmente troppo lungo per lui. Si era immaginato da vecchio su una nave da crociera e Anna, bellissima, nuda in un letto, che aspettava solo di essere consolata da lui. Vedeva il mare sotto di loro e il sole ormai alto. Voleva un caffè. Poi però si rese conto che non avrebbe potuto far nulla per fermare Salanistri, che la sua confessione non poteva davvero valere come accusa e che l’indomani lo avrebbe dovuto rassegnarsi a vederlo partire così, senza far nulla. “Le chiedo solo una cosa – disse Marco – vorrei che mi dicesse come ha fatto a rubare denaro e gioielli stando da me in caserma. Aveva un complice?”. Salanistri si voltò verso il maresciallo e per la prima volta da quando erano sul balcone si guardarono negli occhi: “Certamente ho un complice, è chiaro, altrimenti sarebbe stato impossibile fare questo. Ma non ho intenzione di raccontarle nulla. Almeno non ora. Al momento giusto le prometto che saprà cosa è successo davvero questa notte. Le posso assicurare che mi è molto più facile mantenere promesse fatte a uomini che a donne, quindi le assicuro che a tempo debito saprà. Adesso mi scuserà ma sento che Dorotea è rientrata in camera e vorrei fare una doccia e dormire qualche ora prima di partire. Oggi pomeriggio verremo a fare la denuncia per la scomparsa dei gioielli. Ci pensa lei ad aiutare Anna? Io gradirei non averci più nulla a che fare”. Dopo di che aprì la porta del balcone e rientrò nella stanza.

Il maresciallo tornò in ufficio e diede il cambio a chi lo sostituiva la mattina. Lasciò le consegne su quello che era successo la notte e segnalò che bisognava tenere gli occhi aperti e capire se il ladro avrebbe lasciato Venezia in giornata o avesse aspettato che le acque si fossero calmate. Mentre stava per rientrare a casa a riposare, ebbe un’idea e tornò in albergo per chiedere la lista dei clienti che avevano passato la notte lì. Trenta erano le camere occupate e i sospetti potevano essere tanti. Poi lesse un nome: Valentina Ricci. Unica donna ad aver dormito in una singola in quell’albergo. “Chi è questa persona? – chiese al personale di turno – mi sapreste dire se rimarrà anche questa notte?” “No signore – rispose una ragazza – questa ospite ha lasciato l'albergo proprio stamattina presto. Pensi che aveva prenotato per tre notti, ma ha avuto un imprevisto ed è dovuta partire”. Marco rifletté sul da farsi, ma capì che non poteva far scattare delle ricerche in tutta Venezia, solo per un sospetto su una ragazza. E poi, se anche l'avessero fermata, poteva essersi già liberata della refurtiva o semplicemente, poteva non essere coinvolta nella vicenda, e adesso, lui era davvero stanco e voleva solo andare a casa e riposare. Non c'era davvero più nulla che potesse fare.

Nella stanza, l’unico rumore era quello del ventilatore appeso al soffitto, che pigramente girava le sue pale e smuoveva l’aria quel tanto che bastava a non impazzire per il caldo. Marco era sulla sua scrivania e stava ricontrollando il verbale della rapina alla Posta della scorsa settimana. Si alzò e si avvicinò alla grande finestra aperta: il mare sulla sinistra e il grande cono dell'Etna sulla destra. Dopo un anno che si affacciava da quella finestra ancora non era riuscito ad abituarsi a tutto quello. Gli mancava il suo Veneto e la sua Laguna, ma la sua nuova vita gli piaceva e il mestiere di carabiniere, lì a Taormina, aveva nuovi pregi e nuovi difetti rispetto al nord, e per lui, ogni giorno era uno stimolo nuovo. Alzò la cornetta e chiamò Anna che le rispose quasi subito. Sentiva il pianto di Filippo in sottofondo e Anna gli disse che tra dieci minuti avrebbe messo l'acqua sul fuoco. Era tempo di tornare a casa per pranzo. Bussarono alla porta e un collega portò al maresciallo un pacco per lui. Sulla scatola era segnato l'indirizzo della caserma di Venezia, dove lavorava fino all'anno prima, poi da lì l'avevano spedita in Sicilia. Girò il pacco per leggere il nome del mittente e lesse Juan Salanistri. Il pacco arrivava da Buenos Aires. Lo aprì e dentro trovò un altro pacchetto, con una lettera. Prima di leggere la lettera aprì il pacco. Dentro c'era un bel orologio, con il cinturino in pelle marrone. Il maresciallo vide che era nuovo e si rese subito conto che doveva essere costato quasi uno stipendio. Poi aprì la lettera e tirò fuori due fogli. Si tolse la giacca, inforcò gli occhiali da vista e lesse, ormai vinto dalla curiosità:

“Signor maresciallo,
come sta? Spero tutto bene. Ho saputo dalla radio italiana che in Veneto è stato un inverno piuttosto piovoso. Le scrivo dai 30 gradi di Buenos Aires, anche se per la verità, sono leggermente fuori città, e qui dovrebbe fare un pochino meno caldo. Sarà.
Come le dissi quella mattina, sul quel balcone, ogni promessa è debito, e dunque eccomi qua a raccontarle come andarono davvero le cose. Innanzi tutto però, mi presento: mi chiamo Juan, e con questo, spero di aver esaurito la lista dei nomi da portarmi dietro, dopo che sono stato Salvo per trenta anni e Antonio per sei mesi.
Vivo in  una bellissima casa in stile coloniale, come si dice, e sono sposato alla più bella donna di Sicilia, che mi sono portato qui, per non sentire troppo la nostalgia di casa. Non la sto ad annoiare con i dettagli di cosa faccia o meno, ma ho voglia di dirle che sono felice e che la vita non è mai andata meglio. So che in Italia si dice un gran male della dittatura qui in Argentina, ma la posso rassicurare sul mio stato di salute e su quello della mia azienda. Basta sapere a chi dare qualche soldo, e nessuno viene a disturbare.
Se potessi tornare indietro a quella mattina sul balcone, le direi di venire con me, anche se sono sicuro che non avrebbe mai abbandonato la divisa. Mi ha dato l'impressione di essere un tipo che andasse fiero del suo mestiere.
Che altro dire? Basta così. E' tempo di continuare il nostro gioco al prete e al confessore e stavolta di chiudere il cerchio. Ad un certo punto della mia vita, più o meno un paio di mesi prima di conoscerla a Venezia, ero in procinto di maritarmi con Dorotea ed ero l'amante di Anna, la quale non sapeva nulla della mia vita a Catania ed era convinta l'avrei presto sposata. In quel momento, ero già sicuro di voler sposare Dorotea e rubarle più denaro possibile per poi fuggire in Argentina, mentre ancora non sapevo che fare con Anna, cioè se scomparire per sempre dalla sua vita o se portarla via con me in Argentina. Non mi posi nemmeno per un secondo il problema se lei avrebbe accettato o meno. Per me era scontato che sarebbe venuta. Nel frattempo però, esattamente l'ultimo giorno di lavoro come rappresentante, conobbi una ragazza, e la conobbi casualmente, proprio come conobbi Anna: in un bar a Siracusa. Questa ragazza non era solo bellissima ma era anche intelligente, ed entrammo subito in confidenza, tanto che ci raccontammo in una sera, tante cose delle nostre vite che mai avrei pensato di confessare ad alcuno, tanto meno ad una donna. Cercai l'occasione per rivederla nei giorni successivi, finché caro maresciallo, non successe che facemmo l'amore, e le assicuro che fu come venire al mondo per la seconda volta. Questa ragazza era giovane ma molto molto smaliziata. Aveva vissuto una infanzia difficile proprio come la mia, e anche lei aveva sviluppato una sorta di corazza nei confronti del mondo, una corazza che la portavano a pensare in maniera egoista, proprio come me. Insomma, in un anonimo bar di Siracusa avevo trovato l'anima gemella. Quella notte stessa le confidai che volevo stare con lei e le chiesi se fosse stata disposta a cambiare vita e venire con me in Argentina. Vidi una luce nei suoi occhi che mi meravigliò, come se lei non stesse aspettando altro da anni. Le dissi che però avevo un segreto da confessarle e che per partire, era necessario che sapesse che sarei stato costretto a fare qualcosa di cattivo. Le raccontai di Dorotea e lei non fece una piega, anzi, mi disse che quando un povero ruba ad un ricco non è peccato, ma è solo l'universo che si riequilibra un pochino. Poi le raccontai di Anna e vidi nei suoi occhi una nuova fiamma, stavolta però famelica, come una volpe quando scruta la preda, nascosta tra l'erba alta. Fu lei a darmi l'idea di derubare anche Anna. Quella notte, quella ragazza soffocò l'ultimo barlume di bontà che avevo nel cuore. Ed io fui ben contento di sopprimerlo perché mi aspettava una dannazione eterna, ma una dannazione eterna con lei. Mi disse che dovevo far leva sull'amore che Anna provava per me e convincerla a seguirmi in viaggio di nozze. Doveva portare tutti i suoi averi e mi disse di inventarmi una scusa, anche banale, tanto lei avrebbe accettato qualsiasi cosa pur di non perdermi. Ed ebbe ragione. Anna ci mise solo dieci minuti a farsi convincere ed io in poche ore riuscii ad organizzare il furto più grottesco e anticonvenzionale della storia. Dissi ad Anna che la volevo come mia complice per derubare Dorotea. Povera Anna, pensò di diventare mia alleata quando in realtà era lei una delle vittime. Il resto più o meno lo conosce, quello che non sa è che su quel treno per Venezia e in quel quarto piano dell'albergo, c'era anche quella che oggi è mia moglie. Avevamo previsto tutto. Sapevamo che Anna non avrebbe resistito nel vedermi con mia moglie a cena e che di certo avrebbe creato scompiglio, avrebbe creato il pretesto per salire in camera e fare confusione. E se non fosse accaduto la prima notte, sarebbe accaduto la  seconda o la terza. Avevamo tre giorni per inscenare una lite e ce l'avremmo fatta. Bastò la prima cena. Salimmo su con Anna che ci urlava dietro e Dorotea che aprì la porta per lanciargli qualcosa. Nella foga, Anna aveva lasciato la borsetta nel corridoio. E' stato facile, mentre loro litigavano, prendere le chiavi e aprire la stanza, lasciandola aperta, per poi rimettere la chiave nella borsetta. Come se nulla fosse accaduto. Quando poi i carabinieri ci hanno portato via, la porta della nostra stanza non è certamente stata chiusa a chiave e questo ha permesso a mia moglie, quella di oggi intendo, di uscire tranquillamente dalla sua stanza e di prendere soldi e gioielli nella mia stanza e in quella di Anna. Capisce? Mentre lei ci interrogava in caserma, mia moglie aveva tutto il tempo per prendere i soldi e chiudersi in camera. Quando siamo arrivati, la mattina dopo, lei è scesa proprio mentre noi stavamo salendo. Mentre lei probabilmente stava rientrando a casa per andare a dormire, Valentina era già su un treno per la Sicilia. Vuol sapere come è finita poi, con Dorotea? Siamo tornati in Sicilia ed io dopo tre giorni, approfittando che lei era dalla madre, ho fatto la valigia e sono partito. A dire il vero le valigie erano due. Nell'altra c'erano i soldi che ci hanno regalato al matrimonio. Tanti soldi maresciallo. Con il regalo della zia Assunta, le ho comprato questo orologio. L'ho tenuto con me per un po', finché non ho deciso che era tempo di scriverle e tempo di ringraziarla per la bella chiacchierata sul quel balcone. La prego, lo tenga questo orologio, ci tengo davvero che lei lo abbia. E' stato, per quei dieci minuti, il migliore amico che abbia mai avuto. Lo tenga come ringraziamento per avermi fatto da confessore.
Con i migliori auguri per una florida carriera, la saluto caldamente e spero non si dispiaccia se le chiedo di conservare con se questa lettera, come un piccolo segreto tra di noi. Saluti.

Salvo

Buenos Aires, Marzo 1977

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