Cronaca vera

Sentì uno strano rumore alle sue spalle. Si girò di scatto e l'unica cosa che seppe dire fu un incerto "Ma come?" Lui era dietro di lei, una decina di metri sotto, che avanzava a passo lento sulla ripida salita. Lei sentiva distintamente il suo fiatone e lo osservava tenere lo sguardo fisso sulla strada mentre con un lungo bastone si aiutava a muovere gli ultimi passi per raggiungerla.
“Credevo volessi prendere il sentiero più breve, cosa ci fai qui?” domandò lei piuttosto sorpresa. “Dopo qualche minuto che camminavo ho incontrato un branco di cinghiali – esordì lui - erano proprio in mezzo al sentiero. Ho provato a passare senza far troppo rumore ma c’erano anche i cuccioli e una madre mi ha sbuffato. Bé, il resto lo immagini, eccomi qui”.
Continuarono a salire lungo il sentiero. La pioggia dei giorni precedenti aveva reso l’erba umida e il sole di ottobre non era più in grado di riscaldare l’aria. Man mano che si saliva, il bosco si faceva più fitto e il sentiero si riempiva di rovi e sterpaglie che rendevano meno facile avanzare. Poi, dopo una leggera svolta sulla sinistra, videro la prima casa di quello che un tempo doveva essere un paese abitato. La casa era in rovina: il tetto era crollato ed era ben visibile l’interno, anche perché non c’era più la porta né le finestre. Proseguirono ancora per qualche metro quando sulla destra, trovarono un muro in pietra alto poco più di un metro e un vecchio cancello spalancato. Era il cimitero. Non c’era una chiesa all’interno ma solo lapidi mangiate dal tempo, coperte di rovi e rovinate a terra. Lui la invitò a proseguire oltre e si incamminarono lungo quello che un tempo era il corso principale del paese. Scoprirono ben presto che era anche l’unica strada. La prima casa che avevano trovato era quella meglio conservata, le altre, chiesa compresa, erano un cumulo di pietre, coperte dalla vegetazione e rifugio per uccelli che correvano da una casa all’altra, da un ramo all’altro, più incuriositi che spaventati dai due ragazzi.
“Pietre un giorno case ricoperte dalle rose selvatiche”, canticchiò lei, immaginando che il testo della canzone di Battisti potesse essere stato ispirato ad un posto simile a quello. “Adesso ti racconto una cosa – fece lui – ti ho portata in questo posto perché voglio scrivere un racconto su un fatto di cronaca avvenuto qui cinquant’anni fa. E’ una cosa che ho scoperto casualmente ma ti assicuro che dà i brividi. Questo era è un paesino che fino all’inizio della Prima Guerra mondiale era abitato da almeno trecento persone. Poi ci furono le guerre, la gente partì e non tornò e soprattutto, iniziò il lento spopolamento dovuto alle persone che andavano a cercare lavoro in città. Insomma, nel 1961 alla fine, qui ci vivevano solo una ventina di persone”. 
Nel frattempo, la strada del paese era terminata e prima che ricominciasse il bosco dall’altro lato, i due ragazzi erano tornati sui propri passi e si erano rincamminati verso il cimitero. “Fu proprio in quell’anno – continuò il ragazzo – che avvenne un tragico fatto di cronaca. All’epoca se ne parlò molto sui giornali. Un uomo sui trent’anni era innamorato di una giovane del luogo, dicono fossero addirittura cugini di primo grado. Quest’uomo era un tipo piuttosto sanguigno, un violento e soprattutto era gelosissimo. All’inizio la ragazza sembrava avesse accettato la corte ma poi, su pressione dalla famiglia di lei, aveva deciso di interrompere la relazione ed anzi, era pronta a lasciare il paese con la famiglia e a trasferirsi. L’uomo la minacciò più volte ma lei non si fece spaventare. Lui non voleva che lei lo lasciasse ma nessuno poteva immaginare quello che sarebbe successo. Il giorno che lei lasciò il paese, si incamminò sul sentiero, lo stesso che abbiamo fatto noi per venire qui e lui la seguì, certamente nascosto tra gli alberi. Si dice che lei fosse rimasta indietro rispetto ai suoi genitori, chissà perché, fatto sta che lui uscì allo scoperto e le sparò un colpo di fucile. Lei riuscì a scappare in un capanno ma a quanto ne so, lui la raggiunse e le diede il colpo mortale”.
Nel frattempo erano tornati al cimitero e lui era entrato superando il vecchio cancello e facendole segno di seguirlo. “Che fine ha fatto l’assassino? Lo hanno arrestato? – chiese lei – mio Dio che storia terribile, credimi, ho i brividi e la pelle d’oca. E ti assicuro che non per il freddo”. “I carabinieri lo cercarono per giorni – rispose lui – ma a trovarlo fu un estraneo che era andato a cercare funghi. Trovò un cadavere dentro un fosso, a qualche centinaio di metri dal casale. L’uomo si era suicidato sparandosi alla tempia. Probabilmente subito dopo aver ucciso la ragazza”. Il cimitero era piccolo e leggermente in salita. Proprio in fondo, in una delle rare zone dove non c’erano alberi, si trovava una lapide, quella meglio conservata. Tra le nuvole, filtrò un tiepido sole, tanto che sembrò un effetto speciale da film, perché mentre lui indicava a lei le lapide, questa si illuminò grazie al raggio di sole che filtrava. Le lettere del nome e del cognome erano quasi tutte andate perdute, il nome sembrava essere Angelina. Ancora ben conservate erano le date: 1941 – 1961. Lei portò istintivamente la mano alla bocca ed esclamò “Non ci posso credere, questa è la sua tomba?” “A quanto sembra si – rispose lui – almeno è quello che ho letto. Se ci fai caso è quella meglio conservata, probabilmente perché questa ragazza è stata l’ultima a morire qui prima che il paese si spopolasse. Ho letto che invece il corpo dell’assassino fu portato via dai carabinieri e non fu riferito ai giornalisti dove sarebbe stato tumulato”.

Quando il vento spostò le nuvole e la lapide tornò a coprirsi di grigio, i due si avviarono verso l’uscita del cimitero e in silenzio, ripresero il sentiero per tornare a valle. Prima di svoltare l’ultima curva prima della fine del paese, lei si voltò di nuovo verso il corso e fu certa di vedere una persona in piedi, in mezzo alla strada, che guardava verso la loro direzione. “Oh Dio ma c’è qualcuno lì!” disse con voce terrorizzata. Anche lui si girò ma quando lei gli indicò il punto, non vide nulla. “Aspetta, si è spostato ed è entrato dentro una casa, ti giuro sono certa – continuò lei tenendo stretto il braccio di lui – chi sarà? Con questa storia che mi hai raccontato mi hai terrorizzato, ti odio”. “Andiamo a vedere dai – fece lui – sarà qualcuno di zona, magari sa qualcosa in più su quella ragazza” “No – fece lei sconvolta – no ti prego, andiamocene da qui in fretta, questo posto mi mette i brividi”. Lui la guardò e sorrise ironico, meravigliato che lei fosse sinceramente spaventata dalla situazione “Stai scherzando, vero? – continuò – hai idea di quanti omicidi ci siano al mondo ogni giorno? Che cosa ha di così terribile questa storia?” “Non è la storia – rispose lei, sempre stringendogli il braccio – è l’ambiente. Non lo so ma c’è un’aria che non mi piace e ti giuro che io ho visto un uomo lungo la strada, era vestito di nero e non sembrava uno che cercasse funghi”.

Lui scrollò le spalle e si rassegnò a tornare indietro. Girarono la curva della casa e si incamminarono sul sentiero in discesa. Sotto di loro, ad una ventina di metri, c’era un uomo che li fissava. Era vestito di nero e teneva in mano un fucile. Lo puntò verso di loro. I ragazzi ebbero appena il tempo di capire cosa stava succedendo. L’uomo abbassò la canna e scomparve tra i rovi. 

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