giovedì 26 dicembre 2013

Senza titolo

Chissà quante volte sarete passati a Roma, per la stazione Metro A di “Lepanto”: a due passi dal Tribunale, a tre da Piazza del Popolo e a quattro dal Vaticano. Chissà quante volte sarete passati di lì e avrete pensato: “Ma che sarà sta Lepanto?”. Accendi il cellulare, navighi un po’ e scopri che Lepanto, oggi, è una ridente cittadina sulla costa greca, nel tratto di mare che guarda l’Italia, ma che prima di farlo, deve fare lo slalom tra decine di isole ed isolotti sparsi a caso nello Ionio. Ma le acque di Lepanto, in passato, sono state anche teatro di una delle più importanti vittorie dei paesi cattolici contro l’Impero Ottomano.  Li, il 7 ottobre del 1571, la flotta della Lega Santa sbaragliava quella Ottomana, appena uscita vittoriosa dalla conquista di Cipro ma annientata da un’alleanza tutta italo-spagnola, voluta da l’allora Papa Pio V. La vittoria della Lega, fu soprattutto la vittoria di Venezia, la grande avversaria degli ottomani nel Mediterraneo, che stava perdendo, proprio in quegli anni, parte della grande influenza politico-economica che per secoli aveva avuto nel “Mare Nostrum”. 

Come si viveva nell’Europa di quel periodo? Quali erano i mestieri? Quali gli intrighi di corte e le ambizioni dei potenti? Cosa portò a quella battaglia e come avvenne davvero la conquista dell’Isola di Cipro? Qual’era il ruolo degli ebrei in questo universo e quanto i loro soldi potevano o no comprare la libertà e le grazie dei potenti? Tutto questo è “Altai”, romanzo storico con la “R” e la “S” maiuscola, scritto dal famoso Wu Ming, che in cinese, altro non vuol dire che “Senza Nome”. E qui, nasce una storia nella storia, perché Wu Ming non è uno scrittore cinese con una passione per il nostro continente, quanto un gruppo di quattro scrittori italiani, che si sono riuniti in una sorta di cooperativa e scrivono, scrivono, scrivono. Separatamente o a otto mani, come è il caso di questo romanzo. 
 Altai è un avvincente tuffo nel passato, tra i vicoli della Venezia e della Istanbul di metà cinquecento: a bordo di navi trascinate dalla forza dei vogatori, sopra lettighe per non sporcarsi i piedi nel fango dei vicoli, tra i fossati delle trincee degli assedianti, negli hammam della capitale ottomana e le strette calli che portano a San Marco. Ma soprattutto, Altai, è puzzo e profumo. Mai ho trovato un libro in cui gli odori e gli umori sono descritti così bene e sono parte fondamentale ed imprescindibile dell’opera. Ogni verso è immerso nel senso dell’olfatto, come se gli autori avessero voluto riportare alla luce un’epoca passata, proprio grazie agli odori che emanava. Sangue, spezie, sudore, profumi, merda, carne cotta, legno bruciato, incenso, pietre umide, salsedine, alberi in fiore e giardini di polvere. Tutto questo è Altai: come salire su un treno e ritrovarsi quattro secoli fa, in un mondo che non c’è più ma che è quello da cui noi veniamo. Un viaggio attraverso quello che siamo stati. Un viaggio attraverso quello che siamo.