C’è un ereader lì sulla mensola della mia camera, che
aspetta trepidante che io parta per qualche viaggio (possibilmente in aereo). L’ereader
sa che, solo quando volo, decido di portarlo con me (altrimenti nada de nada, sotto le coperte voglio solo carta stampata). Il suddetto ereader è ora contento, perché di recente ho in effetti volato. Poiché ad ogni volo lo porto con me, mi viene quasi naturale associare un libro ad un determinato
viaggio, visto che di solito comincio a leggere un qualsiasi cosa sul volo
di andata e che finisco sempre la suddetta cosa su quello di ritorno. Legato a
doppio filo a questo mio viaggio a Wroclaw (Polonia), sarà per
sempre “La famiglia Fang” di Kevin Wilson, un romanzo che apparentemente sembra
solo leggero e spassoso, ma che scorrendolo, tratta temi molto importanti come il rapporto
genitori figli, il ruolo dell’arte nella vita degli artisti e non, la passione
per la scrittura e l’amore (etero e non). Insomma, dopo aver iniziato un paio
di libri “a sensazione” e averli salutati alla seconda pagina, mentre il mio
aereo sorvolava una innevata Umbria, ho cominciato a leggere dei Fang e del loro
strano modo di fare arte. Padre e madre pianificano un evento, come ad esempio
entrare in un centro commerciale e creare confusione con un buono pasto falso, e poi sono i due figli (A
la femmina, B il maschietto) ad andargli dietro, facendo a volte da cavie, a
volte da “aizza popolo”, altre da semplici spettatori che filmano la scena “artistica”
con la telecamera.
Mentre viaggiavo in bus da Katowice a Wroclaw, apprezzavo
invece la bella scrittura di Wilson, che parla di temi drammatici ma lo fa con una penna da commedia, come
il povero figlio B, che cresciuto e scopertosi scrittore fallito di romanzi,
ritrova la voglia di scrivere (e l’ispirazione) grazie a l'amore di una
normalissima studentessa universitaria, conosciuta per caso ad un suo
intervento su come si trasforma una idea in un libro. Mentre tornavo da Wroclaw
a Katowice (sempre in economico bus), e ai lati dell’autostrada la neve fresca
copriva tutto a perdita d’occhio, apprezzavo il piccolo grande dramma della
figlia A, attrice di discreto successo, prima vicina a vincere l’Oscar, poi in
crisi con la sua arte e soprattutto con se stessa, divisa tra la voglia sincera
di dedicarsi solo alla recitazione e quella di ubriacarsi ad ogni ora del
giorno. E meno male che il volo di ritorno verso Roma è durato più di due ore, perché
ho avuto tutto il tempo di godermi il finale, incalzante come fosse un romanzo
giallo (in parte lo diventa in effetti) e dal finale a sorpresa (dei figli A e
B, come del lettore). Insomma, se foste anche voi in futuro, presi dal dubbio su cosa leggere in aereo durante
il vostro prossimo viaggio, consiglio vivamente le tragicomiche peripezie della
famiglia Fang.
A me invece, consiglio di conservare il caricatore di qualsiasi
oggetto, nella scatola dell’oggetto stesso, onde evitare, come sto scoprendo
ora con l’ereader, che il caricatore nella scatola non c’è più’, Forse perso in qualche
scantinato buio o forse semplicemente buttato per errore. In attesa di un post che racconti la soluzione
del problema, tanti cari (e gelidi) saluti polacchi.