martedì 3 marzo 2015

Se cadessi in un pozzo, mi rompessi una gamba e morissi dopo giorni di agonia tra freddo, ragni e lacrime, sarei comunque più allegro dei protagonisti di questo libro.

Ho appena finito di leggere Norwegian Wood di Haruki Murakami. Poi, preso dalla curiosità, ho ascoltato la canzone da cui è ispirato il titolo, ovvero Norwegian Wood dei Beatles. Sono rimasto colpito perché la canzone è quanto di più lontano ci possa essere dal libro. La canzone ha una melodia allegra e un testo che strappa un sorriso: un ragazzo va a casa di una ragazza convinto che sarà una notte di fuoco e invece, prima la ragazza parla fino alle due di notte e poi lo manda in bianco, facendolo addirittura dormire nella vasca. Al mattino, il ragazzo, solo nell’appartamento, si vendica dando fuoco alla mobilia della ragazza, di splendido legno norvegese. Mi domando che parallelismi possano esserci con il racconto, che invece, non ha alcuno spunto allegro e non strappa un sorriso nemmeno a pagarlo. Nel libro, Norwegian Wood è la canzone preferita di una delle protagoniste, che però a sua volta è un personaggio di una tristezza e di una negatività che fa venir voglia di girare pagina ogni volta che c’è una sua battuta o si parli di lei. Forse, se un parallelismo devo trovarlo, c’è il fatto che questa ragazza (che poi si chiama Naoko) manda spessissimo in bianco il protagonista (Watanabe) che non si sa come è ossessionato da lei, nonostante il suo carattere chiuso e malinconico all’ennesima potenza. 


E’ difficile raccontare Norwegian Wood perché una trama c’è, è vero, ma in 370 pagine si sviluppa lenta e angosciante, andando a raccontare tre anni della vita del protagonista, che a forza di frequentare quella Naoko, trascorre i suoi vent’anni come se ne avesse novanta e fosse chiuso in una casa di riposo senza speranze per il futuro e senza pulsioni vitali. Detto questo, Murakami è senz’altro un maestro (e questo lo avevo già riscontrato in 19Q4), perché descrive paesaggi, odori e sentimenti, con splendide metafore e come se stesse dipingendo, lentamente, un acquerello. Ma quello che lascia costantemente in tensione, in questo libro come in 19Q4, è la serie infinita di pagine che si susseguono senza che succeda nulla e senza che la storia abbia uno spunto nuovo. Murakami è capace di raccontarti tre giorni consecutivi in cui succedono esattamente le stesse cose, eppure te le racconta, sempre con la stessa dovizia di particolari e sempre con le impressioni dei protagonisti che ovviamente, a distanza di tre giorni, non possono essere cambiate di molto. 

Al di là dell’angoscia del racconto, della profonda antipatia per tutti i personaggi (che andrebbero deportati in Siberia, tanto avrebbero sempre la stessa espressione), al di là di questi toni cupi e questa luce sempre autunnale, Norwegian Wood è senza dubbio un libro bello, che può piacere e non piacere ma che è scritto meravigliosamente bene e che rapisce, dalla prima all’ultima pagina. Certo, rapisce perché ci si aspetta che succeda sempre qualche cosa e poi non succede mai, ma chi sono io per giudicare uno che ha venduto così tante copie e che certamente scrive molto meglio di me? Insomma, se siete in un periodo triste e avete voglia di tirarvi su, ascoltate i Beatles e leggete cose più leggere. Se invece volete immergervi un pò nelle atmosfere del Giappone e siete pronti ad affrontare lunghi discorsi vuoti e senza senso, allora comprate il libro e in un paio di giorni liberi lo divorerete. Giù il cappello per Murakami e sempre viva il Giappone. Sayonara.