“Tutto quel
sommuoversi di istinti che in certi periodi trae gli uomini fuori
dalle città sonanti per spingerli nelle foreste o nella pianura a
uccidere esseri animati con pallottole di piombo lanciate da mezzi
chimici, l'avidità di sangue, la gioia di uccidere, tutto ciò era
in Buck, ma infinitamente più profondo. Correva alla testa del
branco dietro a quell'essere selvaggio, quel cibo vivente, per
uccidere con i suoi denti ed immergere fino agli occhi il muso nel
sangue caldo”.
Confesso subito:
non avevo mai letto “Il richiamo della foresta”. Che ci volete
fare? D’altronde, pensavo, certi libri o si leggono da piccoli, o
non si leggono più. E’ come se oggi mi mettessi a leggere che so,
Pinocchio. Dai, è una cosa da biblioteca dei ragazzi. Che ci azzecca
un libro del genere a 30 anni? Poi però trovi il libro in una delle
solite bancarelle dell’usato e tanto per toglierti lo sfizio lo
prendi. In fondo, pensi, è uno dei libri che Christopher
McCandless si porta a spasso, nel suo peregrinare in “Into theWild”. Ci sarà un motivo no? Ora lo posso dire: il motivo c’era
eccome. Altro che libro per ragazzi, questo è un libro per ogni età
e per ogni epoca. Non manca nulla: avventura, pericoli, passioni,
colpi di scena, delusioni, sangue, istinto. Forse la prosa di London
non sarà delle più ricercate (ora capisco perché è un libro per
ragazzi, si legge in un giorno e non si trovano paroloni né
descrizioni frastagliate), ma ci sono dei passaggi che fanno venire
la pelle d’oca per l’emozione.
La vicenda: Buck è un cane che
vive felice nel sud degli Stati Uniti, finché un giorno viene
venduto (all’insaputa del suo ricco padrone) ad una organizzazione
criminale (definiamola così). Il cane viene addestrato a suon di
bastonate a starsene buono e a tirare la slitta, nel gelido nord del
Canada, alla ricerca dell’oro e per consegnare la posta (a seconda
del padrone che via via se lo compra). La sua vita cambia ma con il
tempo è lui stesso a cambiare: sviluppa quegli istinti di
sopravvivenza repressi, che ogni cane ha ma che l’evoluzione ha
celato, tra una carezza del padrone e un comodo fuoco accanto a
bambini. Buck diventa un leader, prima tra i cani con cui lavora, poi
di se stesso, seguendo il suo istinto e quasi assumendo una
consapevolezza di sé, degna di un essere umano (d’altronde è un
racconto, ci sta). Ma più passa il tempo, più la selvaggia natura
che lo circonda sembra richiamarlo. Non è il suono del vento né
l’ululato dei lupi: è qualcosa che lo prende da dentro, che gli fa
rizzare il pelo anche se non c’è nulla intorno a lui.
“Era
dominato dal violento insorgere della vita, dalla marea dell'essere,
dalla completa gioia di ogni singolo muscolo, di ogni giuntura, di
ogni nervo in quanto essi erano tutto ciò che non è morte, tutto
ciò che arde e che aggredisce esprimendosi nel movimento, volando
esultante sotto le stelle e sulla superficie della materia morta e
immobile”.
E’ l’istinto
che dopo millenni torna a vibrare, sono gli spiriti dei cani di un
tempo che vengono a chiamarlo per farli tornare in vita, attraverso
il suo correre senza paura nella foresta sconosciuta. Immagino che il
libro abbia un milione di sfumature che forse io non ho colto, ma non
importa, mi basta pensare che anche se è stato scritto nel 1903 (mi
sembra), quello che racconta e il messaggio che mi ha trasmesso, è
ancora attuale. Siamo ancora in tempo per permetterci di evolvere,
come civiltà, senza scordarci di lasciare che il pianeta non muoia,
anzi, cresca con noi. Che bello sarebbe riuscire a coniugare città
iper tecnologiche e a misura d'uomo, con immensi spazi vergini,
lasciati alla natura, poiché l'uomo potrebbe non aver bisogno di
distruggere tutto il pianeta, per viverci bene.
Il richiamo della
foresta è in ognuno di noi, in alcuni nascosto nel profondo e in
altri si accende di continuo. Ma è lì, perché un tempo, come Buck,
avevamo antenati selvaggi che vivevano in un mondo in cui tutto era
ostile e la vita era breve. Sarà per questo che adoro mettere i
piedi nudi sull'erba. Sarà per questo che ho il terrore che qualche
pesce misterioso mi porti via se nuoto troppo al largo in mare. Sarà
per questo che il buio ci spaventa ancora e non ci sarà mai luce
così intensa, da farci dimenticare chi siamo stati e ancora siamo.