giovedì 14 gennaio 2016

Metti una sera, a cena, a Trigoria.

29 anni nella stessa casa e decine di libri a tua disposizione, esposti in bella mostra in libreria. Non li hai comprati tu, provengono da ere passate, quando tu ancora non esistevi e i tuoi genitori compravano libri per il piacere di leggerli e in più, con il piacere di riempire librerie, in una casa nuova di zecca e da battezzare con un pò di cultura anni 80. Quei libri cominci a leggerli, a 13 anni o giù di lì, ne leggi uno due tre, li leggi praticamente tutti. Praticamente. Perché ci sono quelli che proprio non ti ispirano, quelli che magari hai cominciato decine di volte ma che hai sempre mollato dopo poche pagine. L'ombra delle colline di Giovanni Arpino è uno di quei libri. 29 anni e poi altri 2, e stavolta torni a cena come "ospite" e ti presenti con largo anticipo, quindi ti metti in poltrona e non volendo vedere la Tv, opti per accendere un libro. Ecco di nuovo tra le mani l'ombra delle colline.

Cominci a leggere e riesci finalmente a superare quelle pagine iniziali che non ti ispiravano ed ecco che il libro addirittura di intriga, ti coinvolge. Te lo porti a casa e lo leggi con calma. C'è tempo per riportarlo. Hai visto mai fosse un bel libro. Poi, tanto perché adesso ci sono gli smartphone e le informazioni ce le hai a portata di mano, scopri che questo libro è il simpatico Premio Strega del 1964. Me cojoni. Adesso ho capito perché mi piaceva! Qui lo dico e qui lo nego: ho letto diversi Premi Strega e mi sono quasi tutti piaciuti, ergo, il Premio sarà truccato, sarà preda degli sponsor, sarà da raccomandati, sarà quello che vi pare, ma chi lo vince vuol dire che ha scritto un bel libro. Chapeau! Di cosa parla questo? Ci sono due storie parallele: quella del protagonista da ragazzo e quella del protagonista adulto. Il primo è un giovane partigiano del cuneese, libero e pieno di speranze. Il secondo è un ultratrentenne piemontese che vive a Roma e che si accontenta di un tranquillo lavoro d'ufficio, insomma, un borghesuccio. Il primo è un bambino cresciuto sotto il fascimo e la guerra, che vive la resistenza da adolescente e ne vuole essere protagonista. Il secondo, è un ragazzo che ha raggiunto una stabilità, almeno per chi lo vedesse da fuori, ma dentro è inquieto, infelice, incapace di sentirsi realizzato.

Sarà un viaggio a farlo scuotere, forse per sempre, un viaggio verso casa, verso il Piemonte. Un viaggio in compagnia di una donna che rappresenta il suo alterego femminile: insoddisfatta anche lei, preda di un passato triste, di un presente amorfo e di un futuro incerto. Questo viaggio e forse questa compagnia, aiuterà il protagonista a realizzare che la vita è troppo breve, per inseguire una felicità di cartone e rinunciare a quello che ti dice l'istinto e il calore del sangue. Non sappiamo cosa accadrà dopo ma capiamo da questo, che lo scrittore ha voluto dare una speranza al suo personaggio e questo basta per renderceli simpatici entrambi. Detto questo, sono sempre più convinto che il Piemonte sia una terra da scoprire. Me lo devo segnare nella lista dei viaggi da fare, rigorosamente con uno zaino pieno di libri. Torino è stata e resterà granata.