mercoledì 8 febbraio 2017

Posso essere polemico? Mi fate essere polemico? Sarò padrone di essere polemico?


Per chi come me è pigro, poco ispirato e soprattutto arido di pazienza e disciplina, il modo migliore per scrivere un buon libro è: non scrivere alcun libro. Oppure scriverlo a rate, magari trasformando le rate in semplici raccontini, per poi metterli insieme e spacciarli per libro. Ma vale? O è considerato barare? A quanto pare non è peccato: le librerie sono piene di “raccolte di racconti”, magari di un autore famoso che ha già scritto qualcosa ed è stato convinto dall’editore a pubblicare tutti i raccontini chiusi nel cassetto, che adesso possono valere qualche migliaio di copie vendute. Metto le mani avanti: non è che sia vietato pubblicare racconti, ma almeno avvertite. Almeno scrivete sulla copertina che si tratta di racconti e non di un romanzo. Voi direte: basterebbe leggere la quarta di copertina per scoprire l’arcano! Ma io vi dico che sono pigro (anzi ve l’ho già detto nelle prime righe) per cui voglio che la questione mi sia chiarita subito, senza dovermi leggere ogni quarta di copertina della libreria. 

Insomma, avrete capito da questo mio borbottare che recentemente mi è capitato di cercare un romanzo e di tornare a casa con una serie di racconti. Volevo approfondire la letteratura sudamericana, in particolare Luis Sepulveda, che avevo apprezzato nel sempre mitico “La gabbianella e il gatto che le insegnò a volare” , ma invece di un bel librone mi sono ritrovato a leggere una ventina di racconti di tre o quattro misere pagine ciascuno. Questa è una vera e propria ingiustizia. Ok, ammetto che i racconti erano piacevoli e che Sepulveda è molto bravo ad osservare le cose e a riportarle con semplicità, ma vuoi mettere un bel romanzo invece che tanti raccontelli non legati tra di loro? Se inizi a raccontarmi la vita di un immigrato italiano in Patagonia, dico io, continua, magari mi interessa anche, non ti fermare dopo tre pagine. 
Forse sarebbe il caso che la smettessi di parlar male delle raccolte e cominciassi a raccogliere i miei di racconti. Certo non mi considero all’altezza di Sepulveda ma almeno, vedendo i racconti uno sopra l’altro (o un foglio excel dopo l’altro), potrei quasi credere di aver scritto già una buona parte di un discreto libro. E se anche poi non fosse vero, sarebbe almeno una piacevole illusione passeggera, come le rose del deserto di Sepulveda, che fioriscono solo un’alba all’anno e che muoiono subito, arse dal sole di mezzogiorno. E dopo questa chiusura poetica e romantica, scusate ma vado a scrivere un racconto su un cactus che ho piantato in giardino a novembre e che una notte di gelo invernale, ha strappato alla vita e all’affetto dei cari. Questo post è dedicato a te, amico cactus.