giovedì 13 settembre 2018

Maledetto Dino Buzzati, come ti sei permesso di farmi piangere come un vitello?


Un giorno, forse in prima o seconda superiore, presi in mano “Il deserto dei Tartari”. Era un libro che stava nella libreria di mio padre da chissà quanti anni e io ero in un periodo in cui cominciavo a leggere quasi tutto quello che mi capitava sotto tiro. Quella volta mi capitò qualcosa che mi sconvolse. Quello non era un libro normale, era un romanzo di una tristezza infinita e leggerlo a 14 anni, quando il tuo umore passa in pochi minuti dall’euforico al depresso, fece si che quelle righe lasciassero segni indelebili sulla roccia dei miei ricordi. Per tanti anni ho sempre detto, dunque, che il mio libro preferito era “Il deserto dei Tartari” e tanto ne ero sicuro che anche avendolo letto una sola volta, vent’anni prima, l’idea non poteva essere cambiata. Oggi, a distanza di altre centinaia di libri letti, ho ripreso in mano “Il deserto dei Tartari”. Non vi nego, perché è mia intenzione farvi leggere questo libro, che alla fine ho pianto. Ok non vi aspettate una cosa eclatante tipo Cascata delle Marmore ma una lacrimuccia è spuntata.


Perché? Perché è davvero il libro più triste del mondo. Come ve lo racconto in poche righe? E’ la storia di Giovanni Drogo, soldato appena diplomatosi all’accademia, che ventenne, viene assegnato alla Fortezza Bastiani, al confine montuoso tra il suo Paese e un immaginario Stato del Nord. Oltre il confine, già in territorio nemico, c’è questo famoso deserto, detto dei Tartari perché un tempo ci scorazzavano queste tribù. Drogo alla sola prima vista della Fortezza prova l’irrefrenabile impulso di scappare via, addirittura congedarsi con disonore, piuttosto che passare un solo minuto in quel nulla, lontano dagli amici e da una qualsivoglia cantina per bere un bicchiere di vino.


Vado, resto, vado, resto, alla fine Drogo rimarrà nella Fortezza più di quanto non avrebbe pensato e poi STOP altrimenti vi racconto troppo. Ma Buzzati è un maestro perché in un romanzo di nemmeno duecento pagine, riesce a condensare una vita intera e a raccontare ogni stagione dell’anima, ogni emozione, ogni sentimento, come altri autori non sarebbero capaci di fare in mille pagine. Forse però, adesso che ci rifletto, “Il deserto dei Tartari” potrebbe non piacervi. In effetti è un pochino lento, introspettivo, angosciante, non è detto che faccia al caso vostro. Per me è il mio libro preferito e amen, non si discute, ma devo ammettere che a voi potrebbe non piacere e potreste smettere di leggerlo anche dopo poche righe. Dovete correre questo rischio però. Dovete leggerlo e provarci. Non cercate di finirlo in una sera o leggerlo velocemente per sapere cosa succede. Godetevelo come se stesse bevendo un fantastico vino che voleste gustare con calma. Leggete ogni singola parola, ogni virgola, perché Buzzati è un maestro proprio perché riesce a esprimere un concetto con esattamente le sillabe necessarie. Se vi piacerà, già saprete di aver trovato il libro che avete sempre cercato e mai nulla sarà come prima. Altro che questi stupidi articoletti su un blog.