Alzo le mani, non ce la faccio più; hai vinto tu, Fedor. Ho aperto per la prima volta L'idiota di Fedor Dostoevskij circa due mesi fa e ad oggi, sono arrivato a pagina 400 su 600 ma non riesco proprio ad andare oltre. A mia parziale scusa posso dire, caro Fedor, che nel frattempo ho avuto tante altre cose da fare che stare a leggere il tuo famoso mattone: ho lavorato, ho nuotato, ho mangiato, ho perfino letto almeno un altro paio di libri. E tu eri sempre lì sul comodino, fedele, ad offrirmi quella tua decina di pagine ogni tanto, che ci mettevo venti minuti solo per ricordarmi quello che avevo letto prima ed immergermi di nuovo nella storia. Che poi caro Fedor, era partito così bene questo libro: non era la solita palla russa con centinaia di pagine di descrizioni di ambienti e personaggi, che ti strappa l'anima e ti sotterra vivo. No, la storia scorreva, i personaggi non erano centinaia di migliaia, ma pochi e raccontanti quasi nell'intimo. Addirittura ero riuscito ad affezionarmi al Principe, il protagonista, l'idiota appunto. Lui così candido ed onesto, così sempliciotto ma così affascinante nel suo essere sé stesso (e quanti cuori infranti di donne).
Ma cavolo, mi davi speranza per qualche
pagina e poi, ecco che ti perdevi in cene lunghe interi capitoli, in
cui ogni personaggio doveva parlare e dire la sua e farlo su
argomenti così noiosi, che non riuscivi proprio a trovare la forza
per andare avanti. Ma come? Sei riuscito a farmi innamorare di San
Pietroburgo senza ammorbarmi di descrizioni, e poi ti rovini
raccontandomi le vite parallele di personaggi ultra secondari, che
non si capisce se stai parlando di oggi, di ieri, di chi cavolo stai
parlando, di quando hai cominciato a parlarne. L'idiota di Fedor
Dostoevskij per me, si è chiuso a tre/quarti. Non so come
finirà e forse, non lo saprò mai per tutta la mia vita.
Ora, le
opzioni che si aprono sono tre: o vado su Wikipedia e mi leggo la
trama (rapido e indolore), o mi vedo su Youtube le sei ore di
sceneggiato in bianco e nero estratto da qualche sperduto archivio
Rai, oppure, ultimo ma non per importanza, me lo invento il finale.
Sai che soddisfazione? Mi faccio rapire dalla fantasia e immagino il
protagonista che si alza, ad una di quelle belle ed interminabili
cene sulla terrazza della sua casa, e in mezzo
a tutti gli invitati (che parlano ad alta voce e ognuno dice la sua
sul nichilismo dilagante in quella Russia di metà ottocento), ecco,
il Principe, si alza e grida “A regà, m'avete
proprio rotto er cazzo, io vado a letto, l'ultimo che esce chiudesse
la porta. E sempre forza Zenit”. Io me lo voglio ricordare così.
Ciao Principe, e sempre viva la grande madre Russia.