Tanti anni fa, nella libreria di casa trovai “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway e me lo lessi. Se mi doveste chiedere di cosa
parlasse non me lo ricordo, a parte ovviamente che c’era il mare e
presumibilmente un vecchio. Quello che ricordo però è che mi piacque nel
complesso e che ebbi un ricordo positivo di questo Hemingway che la scuola poi,
mi insegnò essere uno dei più grandi della letteratura. A distanza di anni ho deciso di rimettere
alla prova il buon Ernest e ho preso in mano “Addio alle armi”. Sinceramente avevo
grande aspettative su questo libro: capirai un mostro sacro di Hemingway, oltretutto ambientato in
Italia durante la Grande Guerra, era un mix perfetto per un romanzo da cui mi
aspettavo fuochi d’artificio.
E invece? Invece non mi è piaciuto. Ecco, l’ho
detto. E’ una bestemmia? Che ne so, che vi devo dire, non mi è piaciuto. Ho provato
a leggermi qualche recensione, qualche critica di illustre professore, per capire
se ci fosse qualcosa in questo libro che io non avessi colto. Qualcosa in
effetti c’era: il tema della grande storia d’amore, il tema dell’antimilitarismo,
la prosa asciutta di Hemingway che racconta le cose come sono. Si ok, ma nel
complesso possiamo dire che brutto? Tra l’altro il protagonista della storia è lui stesso e i suoi
ricordi sul fronte italiano. Lo posso dire? E’ proprio antipatico sto Hemingway ed è pure un
mezzo traditore di una mezza patria. Sarò breve: Hemingway è un americano che
decide da un giorno all’altro di andare a fare una gita nella Prima Guerra
Mondiale. Per farlo, si arruola nell’esercito italiano come autista di
ambulanze, vive l’esperienza del fronte e infine (non so se anche nella
realtà) la tragica ritirata di Caporetto. Oggi lo definiremmo un “libro
inchiesta”, come un grande reportage di guerra, scritto da un inviato al
fronte, che ha combattuto fianco a fianco con gli altri soldati e che racconta
quello che vede. Ma la verità, almeno secondo me, fu che l’Hemingway del libro non
si fuse mai veramente con gli altri soldati. Lui era diverso, era americano,
aveva soldi, ogni tanto se ne andava in licenza a Milano e frequentava belle
donne. Vero è che venne ferito e si fece mesi in ospedale in convalescenza ma mai
perse quella spavalderia. Come di chi sembra vivere un sogno e sa di potersi
svegliare quando vuole ed uscire tranquillamente dal vortice, mentre gli altri
ci affogheranno dentro.
Poi va bé, alzo le mani, magari questo libro è solo una
piccola biografia super romanzata della sua vita e poi Ernest nella vita reale era un
grande, ma io giudico il libro e il libro questo racconta. Racconta di un uomo
che, ricercato dalla polizia perché scappato dall’esercito e disertore, se
ne scappa in Svizzera di notte e trascorre l’inverno in una baita, mentre i
suoi ex compagni muoiono sugli altopiani del confine. Ma alla fine quindi, devo
giudicare l’opera in sé o l'esperienza di vita? Perché anche l’opera sinceramente, mi
sembra si un romanzo piacevole ma niente di che. Caro Erny, sarò pure invidioso
della tua vita e della tua gloria, questo lo ammetto, ma posso dire che il tuo
tanto noto “Addio alle armi” non mi è piaciuto o rischio di essere fucilato? Al
massimo mi rifugio in Vaticano. Amen.
Nessun commento:
Posta un commento