giovedì 4 agosto 2016

Ciao ha tuti è statto belo. Io andare a sciare in giardini vaticani.


Tanti anni fa, nella libreria di casa trovai “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway e me lo lessi. Se mi doveste chiedere di cosa parlasse non me lo ricordo, a parte ovviamente che c’era il mare e presumibilmente un vecchio. Quello che ricordo però è che mi piacque nel complesso e che ebbi un ricordo positivo di questo Hemingway che la scuola poi, mi insegnò essere uno dei più grandi della letteratura. A distanza di anni ho deciso di rimettere alla prova il buon Ernest e ho preso in mano “Addio alle armi”. Sinceramente avevo grande aspettative su questo libro: capirai un mostro sacro di Hemingway, oltretutto ambientato in Italia durante la Grande Guerra, era un mix perfetto per un romanzo da cui mi aspettavo fuochi d’artificio.


E invece? Invece non mi è piaciuto. Ecco, l’ho detto. E’ una bestemmia? Che ne so, che vi devo dire, non mi è piaciuto. Ho provato a leggermi qualche recensione, qualche critica di illustre professore, per capire se ci fosse qualcosa in questo libro che io non avessi colto. Qualcosa in effetti c’era: il tema della grande storia d’amore, il tema dell’antimilitarismo, la prosa asciutta di Hemingway che racconta le cose come sono. Si ok, ma nel complesso possiamo dire che brutto? Tra l’altro il protagonista della storia è lui stesso e i suoi ricordi sul fronte italiano. Lo posso dire? E’ proprio antipatico sto Hemingway ed è pure un mezzo traditore di una mezza patria. Sarò breve: Hemingway è un americano che decide da un giorno all’altro di andare a fare una gita nella Prima Guerra Mondiale. Per farlo, si arruola nell’esercito italiano come autista di ambulanze, vive l’esperienza del fronte e infine (non so se anche nella realtà) la tragica ritirata di Caporetto. Oggi lo definiremmo un “libro inchiesta”, come un grande reportage di guerra, scritto da un inviato al fronte, che ha combattuto fianco a fianco con gli altri soldati e che racconta quello che vede. Ma la verità, almeno secondo me, fu che l’Hemingway del libro non si fuse mai veramente con gli altri soldati. Lui era diverso, era americano, aveva soldi, ogni tanto se ne andava in licenza a Milano e frequentava belle donne. Vero è che venne ferito e si fece mesi in ospedale in convalescenza ma mai perse quella spavalderia. Come di chi sembra vivere un sogno e sa di potersi svegliare quando vuole ed uscire tranquillamente dal vortice, mentre gli altri ci affogheranno dentro.


Poi va bé, alzo le mani, magari questo libro è solo una piccola biografia super romanzata della sua vita e poi Ernest nella vita reale era un grande, ma io giudico il libro e il libro questo racconta. Racconta di un uomo che, ricercato dalla polizia perché scappato dall’esercito e disertore, se ne scappa in Svizzera di notte e trascorre l’inverno in una baita, mentre i suoi ex compagni muoiono sugli altopiani del confine. Ma alla fine quindi, devo giudicare l’opera in sé o l'esperienza di vita? Perché anche l’opera sinceramente, mi sembra si un romanzo piacevole ma niente di che. Caro Erny, sarò pure invidioso della tua vita e della tua gloria, questo lo ammetto, ma posso dire che il tuo tanto noto “Addio alle armi” non mi è piaciuto o rischio di essere fucilato? Al massimo mi rifugio in Vaticano. Amen.

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