lunedì 13 marzo 2017

Ah, se fossi nato cent'anni prima, chissà come era bello il mondo nel 1884! (Peccato che poi sarei morto durante la Prima Guerra Mondiale)

Grazia Deledda mi sta simpatica. Sarà perché è nata a Nuoro (nella bellissima Barbagia) sarà perché nessuno mi ha imposto di studiarla al liceo e quindi l'ho scoperta da solo, sarà perché è sarda. L'ho già detto che è sarda? Si è vero, mi sta simpatica e basta, chiudiamola così. Avevo letto, milioni di anni fa, "Canne al vento" e nonostante non ricordi nulla della trama, mi è rimasta la sensazione di aver letto un libro che mi era piaciuto, quando ancora ignoravo che la Sardegna un giorno, sarebbe diventata una parte importante della mia vita.

Deledda dicevamo; oggi (o meglio ieri) ho finito di leggere "Sino al confine", libro che mi è stato regalato e che è stato scelto casualmente, tra i tantissimi scritti dalla Deledda. Il libro racconta le vicende di Gavina Sulis, ragazza cresciuta in un piccolo paese della Barbagia, che non è solo un paese ma che è tutto il suo mondo. Siamo nel 1890 e questo mondo intorno a lei è un quadro immutabile, chiuso, fatto di divisioni sociali, superstizioni, pregiudizi. E come se non bastasse, c'è la religione, che pervade la sua vita e quella di tutti coloro che la circondano. Gavina cresce con il terrore del peccato, con la sensazione che qualsiasi cosa possa fare può nascondere l'errore, la perdizione, la dannazione. Non è facile oggi, leggere un libro così.
Non è facile immedesimarsi in lei e negli altri personaggi. Tra noi e loro ci sono 120 anni di modernità, progresso, caduta di tabù. E' difficile immaginare una ragazzina di 14 anni che a quell'età è già donna, che trema nel guardare un ragazzo e corre a confessarsi per qualsiasi sospiro, che vede dalla finestra della sua camera tutto il suo universo, fatto di strade polverose, montagne e orizzonti sempre uguali, mormorii, malelingue, obblighi morali. E' difficile immaginarlo e immedesimarsi, ma non è impossibile, perché Deledda racconta questa storia con parole semplici, passo passo. Come un fiume lento, noi ci facciamo portare dalla corrente e piano piano entriamo in Gavina e nei suoi pensieri, la conosciamo meglio, cresciamo con lei, la compatiamo, la capiamo, la apprezziamo. La storia poi continua e qualcosa cambia, qualcosa no, bisogna che ve lo leggiate voi, se vi interessa!

Certo, finito il libro, non posso dire di aver letto un capolavoro né il libro più bello della mia vita, ma ho letto una storia semplice, raccontata con gusto e con descrizioni semplici ed efficaci. No, non vi dico di correre in libreria a comprarlo, decisamente no, ma se un giorno vostro figlio dovesse tornare a casa e per compito dovesse studiare Deledda, mettetevi seduti con lui/lei e immergetevi anche voi in questa bella letteratura semplice ed educata. Mamma mia, sto proprio invecchiando.

giovedì 2 marzo 2017

Mi sono reso conto solo alla fine, di aver letto il libro di una intellettuale comunista: accidenti, ora sono più radical chic di Massimo D'Alema

Qualche anno fa, quando ero ancora giovane e bello, conobbi una ragazza che abitava in Via Leone Ginzburg (non è importante scrivere la città, ma non è Roma, tanto per dire). Non frequentai molto quella via ma ricordo che la ragazza di allora mi disse, la prima volta che lessi quel nome sul cartello: “Non lo conosci? E’ il marito di Natalia Ginzburg, la scrittrice”. Non conoscevo né lui né lei, ma quel nome mi è sempre rimasto impresso, tanto che spesso, quando mi capitava di trovare libri della Ginzburg, ero in dubbio o no se comprarne uno o meno, spinto da quel ricordo. Alla fine ho ceduto, ed eccomi qui con “Lessico Famigliare” tra le mani.

Non è un caso che abbia deciso di introdurre questo libro, raccontandovi un
episodio della mia vita, perché il libro stesso è una carrellata di episodi della vita della scrittrice, anzi, è esattamente la gioventù e l’adolescenza della Ginzburg. Ma non è ovviamente una vera e propria biografia; la Ginzburg è si un narratore in prima persona ma che si interessa più a raccontare quello che vede piuttosto che descrivere i propri sentimenti o quello che fa (o faceva). Come si può immaginare dal titolo, i protagonisti del romanzo sono i familiari: la mamma, il papà, i fratelli, e la maggior parte del racconto è ambientato a Torino, anche se nel corso della sua vita Natalia aveva vissuto e poi visse, in diverse altre città. A me, nel mio piccolo, il libro non è dispiaciuto affatto, innanzi tutto perché è un pezzo di storia d’Italia, visto che è ambientato tra gli anni 30 e 40, quindi in piena ascesa del fascismo, poi guerra e poi ricostruzione. E poi perché la Ginzuburg, ha un modo di vedere le cose (di ricordare più che altro le cose) molto scarno e diretto, come potremmo ricordare noi episodi della nostra infanzia, ormai filtrati e ricomposti, dalla polvere dei tanti anni. Ad esempio, il padre era un famoso professore, che però nel racconto è descritto come un “borbottone” o come un qualsiasi bambino potrebbe descrivere suo padre per quello che è e non per quello che appare ai suoi studenti o ai suoi colleghi. Si parla ad un certo punto, anche di Adriano Olivetti (figlio del fondatore della Olivetti) che non è solo l’Olivetti imprenditore ma diventa il marito della sorella maggiore della scrittrice e che quindi, per la Ginzburg è molto di più di un famoso estraneo, ma diventa un parente di cui parlare e raccontarne diversi aspetti.

Cara Ginzburg, sei stata promossa (almeno per questo libro), ma non posso fare a meno di riflettere sul cosa sarebbe successo se quella ragazza avesse abitato in via Michelangelo, o in via Luigi Tenco o in via degli oleandri: adesso magari, ne saprei di più di arte, di musica e di botanica. Chissà che sarebbe successo poi, se avesse abitato in Via Moana Pozzi.