giovedì 2 marzo 2017

Mi sono reso conto solo alla fine, di aver letto il libro di una intellettuale comunista: accidenti, ora sono più radical chic di Massimo D'Alema

Qualche anno fa, quando ero ancora giovane e bello, conobbi una ragazza che abitava in Via Leone Ginzburg (non è importante scrivere la città, ma non è Roma, tanto per dire). Non frequentai molto quella via ma ricordo che la ragazza di allora mi disse, la prima volta che lessi quel nome sul cartello: “Non lo conosci? E’ il marito di Natalia Ginzburg, la scrittrice”. Non conoscevo né lui né lei, ma quel nome mi è sempre rimasto impresso, tanto che spesso, quando mi capitava di trovare libri della Ginzburg, ero in dubbio o no se comprarne uno o meno, spinto da quel ricordo. Alla fine ho ceduto, ed eccomi qui con “Lessico Famigliare” tra le mani.

Non è un caso che abbia deciso di introdurre questo libro, raccontandovi un
episodio della mia vita, perché il libro stesso è una carrellata di episodi della vita della scrittrice, anzi, è esattamente la gioventù e l’adolescenza della Ginzburg. Ma non è ovviamente una vera e propria biografia; la Ginzburg è si un narratore in prima persona ma che si interessa più a raccontare quello che vede piuttosto che descrivere i propri sentimenti o quello che fa (o faceva). Come si può immaginare dal titolo, i protagonisti del romanzo sono i familiari: la mamma, il papà, i fratelli, e la maggior parte del racconto è ambientato a Torino, anche se nel corso della sua vita Natalia aveva vissuto e poi visse, in diverse altre città. A me, nel mio piccolo, il libro non è dispiaciuto affatto, innanzi tutto perché è un pezzo di storia d’Italia, visto che è ambientato tra gli anni 30 e 40, quindi in piena ascesa del fascismo, poi guerra e poi ricostruzione. E poi perché la Ginzuburg, ha un modo di vedere le cose (di ricordare più che altro le cose) molto scarno e diretto, come potremmo ricordare noi episodi della nostra infanzia, ormai filtrati e ricomposti, dalla polvere dei tanti anni. Ad esempio, il padre era un famoso professore, che però nel racconto è descritto come un “borbottone” o come un qualsiasi bambino potrebbe descrivere suo padre per quello che è e non per quello che appare ai suoi studenti o ai suoi colleghi. Si parla ad un certo punto, anche di Adriano Olivetti (figlio del fondatore della Olivetti) che non è solo l’Olivetti imprenditore ma diventa il marito della sorella maggiore della scrittrice e che quindi, per la Ginzburg è molto di più di un famoso estraneo, ma diventa un parente di cui parlare e raccontarne diversi aspetti.

Cara Ginzburg, sei stata promossa (almeno per questo libro), ma non posso fare a meno di riflettere sul cosa sarebbe successo se quella ragazza avesse abitato in via Michelangelo, o in via Luigi Tenco o in via degli oleandri: adesso magari, ne saprei di più di arte, di musica e di botanica. Chissà che sarebbe successo poi, se avesse abitato in Via Moana Pozzi.

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