giovedì 23 agosto 2018

Ero l'unico al mondo a non aver ancora letto questo libro. Vero? Vero??




Prima o poi doveva succedere: ho letto “I pilastri della terra”! Si si, lo so, lo avete letto anche voi e si, mi dispiace, avrei dovuto leggerlo già da una decina d’anni e non l’avevo ancora fatto. Ma che vi devo dire? Lo conoscono tutti ed è scritto da Ken Follett che praticamente è più famoso del Papa: no non fa per me, non riesco a leggere un libro così famoso. Troppo scontato. Ma in fondo è estate e sotto l’ombrellone non si possono mica leggere mattoni psico-metafisico-economico-impegnati. In spiaggia voglio andare con qualcosa di leggero e cosa c’è di meglio di un romanzetto di mille pagine? D’accordo, visto che siamo in vena di confessioni allora diciamolo: “I pilastri della terra” è bello. Ok concediamoglielo, un pochino più di bello: è molto bello. Che poi l’aggettivo “bello” è anche troppo generico, affermiamo allora che “I pilastri della terra” è appassionante. E’ coinvolgente. E’ emozionante. “I pilastri della terra” non è un libro: è un soap opera. Sembra una sceneggiatura per un filmone o meglio ancora per una serie, di quelle che su Netflix (che mi vanto di non avere) farebbero il tutto esaurito.

Ma che la scrivo a fare una recensione sui pilastri? Che vuoi scrivere? E’ praticamente perfetto! Tu apri il libro, leggi le prime dieci pagine e ti rendi conto che non potrai più lasciarlo. Anzi, meno male che sono mille pagine e quindi è impossibile leggerle tutte di un fiato, altrimenti ci si potrebbe chiudere in camera e finirlo in una notte. Caro Follett, che vuoi che ti dica? Hai pubblicato decine di libri ma ti sarebbe bastato solo questo per entrare nella leggenda. Però aspetta, una cosa te la voglio dire: mi piaci ancor di più perché non hai messo troppi personaggi. Nelle prime pagine, si incontrano subito una decina di persone che potrebbero essere tutte protagoniste e lì allora sei costretto a fermarti e studiarteli bene, altrimenti se poi si va avanti e questi personaggi si consolidano, rischi di perderti la loro evoluzione. Ma se di personaggi ce ne fossero venti o trenta, non sarebbe più un romanzo, diventerebbe la Bibbia e bisognerebbe istituire un corso di laurea solo per capirlo. Invece Follett, grazie al cielo, di personaggi ne porta avanti una decina e questo basta. Facciamo in tempo a conoscerli, a vederli crescere, a farceli stare simpatici o antipatici e a disperarci se poi muoiono o tradiscono le nostre aspettative (tranquilli, non vi dico chi muore).
Ripeto, sto allungando il brodo perché davvero mi vergogno a dire altro sul libro: come faccio a muovere anche solo una piccola critica se io di questo romanzo avrei scritto a mala pena la prima riga? Aspettate, non mi ricordo se vi ho detto di cosa parla il romanzo. Va bè ma tanto lo avete letto tutti, quindi ve lo ricordate no? No? Volete dire che non lo avete letto tutti tutti tutti?. Davvero?

Vergogna! Bestie di Satana, che il cielo vi maledica! Correte subito a comprarlo e divoratevelo perché di romanzi così ne leggerete tre o quattro nella vita, non di più. E no, a questo punto non vi dico nulla. Non vi dico di cosa parla, dove è ambientato, chi è simpatico e chi è antipatico. Scusali Ken, perdonali, non sanno quello che fanno. Bestie! Leggete subito “I pilastri della terra” e che Dio abbia pietà di voi.

martedì 21 agosto 2018

Un anno sull'Altipiano di Emilio Lussu. E basta.











Per la serie – finalmente per una volta non ci parli di libri ambientati in Sardegna – eccomi pronto a scrivervi di “Un anno sull’Altipiano”, di un certo Emilio Lussu, credo originario di Trento.



Essendo il centenario della fine della Prima Guerra Mondiale (novembre 1918), non potrebbe esserci occasione migliore per parlare di un libro ambientato proprio durante questa guerra. Per l’esattezza tra il giugno del 1916 e il luglio del 1917. Per la cronaca, l’Italia non se la passava benissimo in quel momento: solo per dire, ad ottobre del 1917 ci sarebbe stata la famosa battaglia di Caporetto, con 13.000 morti, 30.000 ferite e 265.000 prigionieri, solo nel fronte italiano.


Il romanzo (che non è proprio un romanzo ma una sorta di diario scritto ad anni di distanza), racconta la vita di trincea dalla parte degli italiani, che sull’Altipiano di Asiago (e non solo), si fronteggiavano alle truppe dell’Impero Austroungarico. Nel testo, tutto è vero e crudo, niente è filtrato e la bravura di Lussu sta nel fatto di descrivere la tragedia della guerra e della morte, raccontando davvero tutto e riuscendo anche a far sorridere in qualche occasione. Tra una pagina e l’altra, si passa dalle ferite cruente, al furto di salumi, dai generali innamorati di se stessi, alle notti al gelo a bere alcol per riscaldarsi. Uno degli “aneddoti” che mi ha più colpito è stata la descrizione dello stato d’animo dei soldati, che dalle postazioni di montagna, osservavano la valle e in lontananza vedevano le città del Veneto sotto l’Altipiano. Loro erano rintanati in quei buchi scavati nella roccia mentre in quei paesi lontani, la vita scorreva come sempre, seppur nelle ristrettezze della guerra. Quei paesi, da lassù, sembravano così vicini che si poteva quasi toccarli con un dito. Chissà cosa stavano facendo in quel momento gli abitanti, loro che potevano uscire, cantare, amare, senza la paura di non vedere il sole del giorno dopo.

Che vi devo dire, battute per chiudere l’articolo con una risata non me ne vengono. Una riflessione però voglio farla: si parla tanto (nei libri e in TV) della Seconda Guerra Mondiale e del Fascismo, si racconta cosa sia accaduto e si spera che non accada più, giustamente. Ma la Seconda Guerra Mondiale è stata una guerra in cui l’Italia ha perso e perso male e del ventennio fascista, sono state certamente più le ombre che le luci. La Prima Guerra Mondiale invece no. E’ stata una vittoria, sofferta e "mutilata", ma una vittoria. E allora, invece di piangerci sempre un po’ addosso o pensare solo ad autoflagellarci per le nostre colpe (vere e presunte), ogni tanto potremmo guardare anche al famoso 15/18 e ricordarci che prima dell’8 settembre 1943, eravamo stati vincitori di qualcosa e che del passato si possono ricordare anche gli aspetti positivi, con un pizzico pizzico di orgoglio per la storia nazionale che non guasterebbe affatto.