sabato 27 luglio 2013

Se nun te scierri mai delle radici ca tieni


Andare in macchina in Salento, è una sensazione che almeno una volta nella vita va vissuta. Come un pellegrinaggio a La Mecca per ogni musulmano o il rafting alle Cascate delle Marmore per ogni romano che abbia un minimo di spirito d’avventura. Che tu scelga di passare per Napoli o tagliare per Benevento (ovviamente il mio viaggio immaginario parte sempre da Roma), arrivato al cartello verde che sbarra la Campania e ti accoglie in Puglia, il tuo cuore avrà il primo sussulto. Cavolo, almeno sono arrivato fino a qui! Ma la Puglia non è come il Lazio, che in due ore di autostrada te lo lasci alle spalle, la Puglia non finisce mai e sei hai la sfortuna di beccare anche il traffico estivo di chi va al mare, la Puglia, oltre che non fine mai, diventa anche un incubo, che nemmeno un Ardeatina – Tiburtina carreggiata esterna del Gra può  competere.


Arrivato a Lecce sei convinto di essere finalmente vicino allo spogliarti e buttarti “ammare”, a prescindere che siano le undici del mattino o di sera. Ma è ancora qui che ti sbagli, perché adesso la Puglia è finita si, ma sei in Salento, e non che anche il Salento scherzi a distanze. Lecce – Leuca è un’altra ora di superstrada, una spada grigia che taglia campi arsi dal sole, ulivi che ti sembrano meravigliosi ma che se entri in qualche stradina laterale ne trovi di ancora più belli e cartelli che ti parlano di nomi di paesini che sembrano usciti da qualche saga fantasy o semplicemente inventati da un bambino di cinque anni. Il Salento estivo è un posto magico e affascinante. Il mare è un sogno, la gente è cordiale, il pesce è buono per essere buono. Se non ci siete mai stati e tutti ve ne hanno parlato bene, fidatevi. Almeno una volta nella vostra vita, ci dovete andare. E andateci, su!
Ma il Salento è così bello, che quasi varrebbe la pena di vederlo anche sotto un altro punto di vista. Quello delle tre stagioni che non sono estate. Dell’autunno piovoso, dell’inverno dal vento freddo e della primavera dei primi soli caldi e dei fiori allegri. Questo Salento io non l’ho mai visto, e come me, forse tutti quelli che in Salento ci sono stati nei mesi più caldi. Aspettando che l’ispirazione per questo viaggio autunnale mi colga fecondo, nel frattempo Gianluca Gulluni, nel suo “Il sindaco e il paziente” (Scriptalab edizioni), mi ha dato modo di immergermi, dalla poltrona di casa, nelle atmosfere di un Salento atipico, che il turista non conosce e di cui la televisione non parla mai. Ma l’ho detto prima, il Salento è grande, e Gianluca non parla mica di tutto il Salento, ma di uno spicchio di terra affacciato sull’Adriatico, di poche piccole torri, di paesini che gli abitanti li conti come l’appello della scuola media, di strade che a farle tre volte ad andare e tornare già le conosci come c’avessi sempre vissuto. In questo microcosmo nel microcosmo, Gianluca ci costruisce un romanzo che si svela pian piano sotto gli occhi del lettore, che ti parla di uno spaccato di estrema Italia che nessuno ti ha mai raccontato così e di vite intrecciate in altre vite, che lui con abile fantasia cuce e scioglie. A tratti, la sua scrittura ricorda Sciascia, con quel vocabolario misto di italiano e dialetto, quelle descrizioni dei personaggi così rapide, che in due righe ti racconta tutta la loro vita e hai l’impressione di sapere già tutto di quella persona.
Ma non svelerò nulla della trama, né dei protagonisti, né di altro. Ci sono tanti modi per attirare l’attenzione di un possibile lettore su un libro ed io ho scelto quello della curiosità per una cornice. La cornice in cui questa storia è raccontata: il Salento che c’è ma non si vede, le montagne innevate dell’Albania che son lì che le potresti quasi toccare con un dito, il rumore della risacca del mare che è qui sotto di noi ma è tanto buio che puoi solo immaginarlo. La cornice di un’Italia che non puoi mica dirlo se davvero sei qui o in un altro mondo, la cornice di un mare che oggi è tuo ma ieri era di antichi popoli che hanno scritto la loro e la tua storia, la cornice di un cielo che da’ la vita e porta la morte, in una terra che è l’estremo lembo di un Paese decaduto e allo stesso tempo il centro del mondo. Réclame.
 
 

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