Se mi chiedeste se da domani, decidessi volontariamente di non mangiare più una fiorentina o il sushi, io vi risponderei senza dubbio: no. Mi piace la carne al sangue e adoro il sapore del sashimi che si scioglie in bocca. Al massimo, e questa è una cosa che posso e voglio fare, potrei mangiarne di meno, o meglio ancora, mangiarne solo in posti in cui so con quale processo sono finiti nel mio piatto. L’unico modo per esserne certi però, nel caso del sushi ad esempio, sarebbe quello di cucinarselo da soli, andando a comprare il pescato direttamente al porto, magari da piccoli pescherecci a conduzione familiare e poi prepararlo in casa. Stesso procedimento per la carne, magari comprata direttamente dal produttore, con la certezza che, stante la morte inevitabile dell’animale, quanto meno questo abbia vissuto bene, mangiando cose sane e vivendo una vita in comunità, come la lunga storia dell’allevamento ha sempre dettato negli ultimi millenni. Non è un passaggio facile ovviamente (e infatti non sto qui a dire che lo farò sistematicamente e quotidianamente) ma è quanto meno un modo per essere un pochino più consapevoli di quello che mangiamo, senza dare per scontato che quello che ci viene venduto al banco frigo sia il meglio del meglio e soprattutto, sia l’unica alternativa che abbiamo. Certo, comprare carne direttamente dal produttore costa di più, ma garantisce standard di qualità e gusto cui la produzione industriale non può minimamente competere. Sempre che la produzione industriale voglia effettivamente competere, cosa che sembra difficile credere, visiti i metodi utilizzati. “Se niente importa (Perché mangiamo gli animali?)” di Jonathan Safran Foer è un bello spaccato sulla realtà industriale con cui viene allevata, uccisa e distribuita la carne e il pesce a livello statunitense (e in parte mondiale). L’obiettivo dello scrittore non è quello di rendere il lettore vegetariano ma di metterlo al corrente di cosa c’è dentro il suo piatto; trasformarlo da consumatore automatico in consumatore informato. Poi starà a noi decidere se ignorare i fatti o scegliere un’alternativa.
Quello di Foer non è certamente il primo libro sull’argomento, né certo sarà l’ultimo. Ci sono su internet centinaia di video che documentano le atrocità commesse nel sistema di allevamento e mattanza di polli, maiali e bovini, e sono certo al mondo (quanto meno quello occidentale) non c'è persona che non abbia visto almeno una volta uno di questi video e che non sappia quale sia il destino di queste bestie. Il fatto è, e qui mi chiamo in causa per primo, che quelle immagini noi le ignoriamo; ci rattristiamo, ci indigniamo per un minuto, ma poi usciamo e mangiamo un panino da Mc o torniamo a casa la domenica e affoghiamo nella pasta al ragù di mamma. E’ una colpa? No, o meglio si, ma altrettanto o forse meno, del cambiare canale di fronte agli sbarchi di Lampedusa o rinchiudere un anziano dentro una casa di riposo e lasciarlo in balia di estranei. La questione comunque , qui e nel libro, ripeto, non è farci sentire una merda come singoli ma farci aprire gli occhi su un dato di fatto e poi, lasciarci scegliere. Foer dice, sostanzialmente, che chi legge questo libro e vede le immagini su youtube, non può che rifiutarsi di mangiare quella carne. È un dato di fatto incontrovertibile. e' la stessa nostra natura umana che dovrebbe impedircelo. Io dico che, se anche decidessimo comunque di continuare a mangiare la carne, quanto meno varrebbe la pena vederle quelle immagini e soprattutto, leggere questo libro (che tra l’altro costa 12 euro, quindi nemmeno tanto), perché è sempre meglio un’informazione in più che una in meno.
Chiudo sfatando un mito, almeno in parte. Chi possa pensare che “in Italia però è diverso”, si sbaglia. Magari non sarà come negli USA, in cui più del 95% della carne consumata viene da allevamento intensivo, ma anche qui le stragi silenziose esistono e anche qui, gli animali vengono uccisi nei modi più barbari e contro ogni morale ed etica umana (attenzione, non dico è sbagliato uccidere, ma è sbagliato uccidere facendo soffrire).Sul libro non se ne parla, ma su internet si. Fateci un giro. Parola di Francesco Amadori.
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