Meglio di un mercatino dell’usato che vende libri c’è solo
una cosa: la biblioteca. Solo che in biblioteca le cose le devi riportare, al
mercatino invece ti porti tutto via, e spendi per un libro quanto faresti per
comprare tre biglietti dell’autobus (sempre se li compri). Un’ora davanti ad
una decina di scaffali, irti di libri, catalogati in ordine alfabetico
d’autore. Tutto a 3, 4, massimo 5 euro. Va bé, mi tremano le gambe, sento che
il demone della cultura a poco prezzo sta per impossessarsi di me. Chiamate un
esorcista, e ditegli di portare un carrello. C’è da riempirlo.
“La Marcia di
Radetzky” di Joseph Roth, mi sorride con la sua copertina marroncino triste a
cui fa da contraltare però, un’introduzione invitante: romanzo storico
sull’apogeo e caduta dell’Impero-Austroungarico. Capirai, e quando me lo faccio
scappare. Qui c’è il rischio di leggersi 420 pagine tutte di un fiato, e a soli
3,90 euro. Ma da qui comincia un’altra storia, non quella della battaglia di
Solferino né quella della Prima Guerra Mondiale vista dagli occhi del nemico
austriaco. Qui inizia la storia dell’eterna lotta tra libro e lettore,
dell’eterna lotta nella quale si vince o si perde, ma mai si pareggia. Un libro
o lo finisci o lo abbandoni, e quando lo abbandoni, la sconfitta è bruciante e
il senso d’amarezza t’invade. Ma poi mi domando: meglio il senso d’amarezza o peggio
la pesantezza di passare sere a leggere pagine che non ti attraggono e ad
aspettare nella storia, svolte che non arrivano?
Voi da che parte state? Siete
quelli che un libro non lo mollereste mai, anche se aveste cominciato, per
errore, a leggere un manuale di fisica nucleare in papuanuovoguineiano? (senza
figure!). O avete il coraggio di dire basta, se proprio un libro non vi ispira?
Se appartenete a quest’ultima categoria, io sono con voi, fratelli. “La Marcia
di Radetzky” sarà pure sto capolavoro della letteratura, ma dopo 10 pagine ho
sentito la sensazione di lentezza invadermi il corpo e dopo 20, l’orologio
dell’entusiasmo non è rallentato, s’è proprio fermato. Per arrivare a pagina 73
c’ho messo un mese, ed in mezzo c’ho piazzato un paio di libri letti
contemporaneamente, qualche rivista scientifica ed un Dylan Dog, che non guasta
mai. Archivio il libro e con lui l’interesse per l’Impero Austroungarico,
d’altronde, se sono stati nostri nemici in trecentoventicinque mila guerre, un
motivo di sarà stato. E’ un’antipatia da DNA, che il libro del fu Joseph Roth
ha solo che confermato.
Peccato, perché qualche bella descrizione di qualche
tramonto oltre le colline c’era, come c’era l’idea del profumo di erba che
veniva dagli immensi spazi aperti delle pianure del centro Europa. Forse sarà
che non c’era il mare e che per vederlo, il protagonista si sarebbe dovuto fare
chissà quanti giorni di cavallo. A sto punto mi faccio tre ore di fila sulla
Pontina. A Terracina ce l’avranno Dylan Dog?