sabato 27 febbraio 2016

Il più grande Homo Tirchius del Mercatino dell'usato



Quello che state leggendo ora, è più o meno il decimo tentativo di cominciare questo post e trovare il giusto incipit per raccontare il libro che sto per raccontare. Non ve ne fregherà nulla ma, per come scrivo io, l'incipit è fondamentale, poiché dietro ogni post non c'è uno schema in cui so già di preciso cosa scriverò e come lo scriverò, bensì una serie righe scritte di getto, in cui parola dopo parola decido quale sia l'aspetto che più mi è rimasto del libro e di conseguenza ne parlo. Quindi, se le prime righe del post non mi piacciono, non ha senso andare avanti, altrimenti mi basterebbe mettere l'immagine della copertina e dirvi: "5 stellette su 5, leggetelo perché è top".

Allora mi chiedo, possibile che per "Il più grande uomo scimmia del Pleistocene" di Roy Lewis, non ci sia un incipit che vada bene? Voglio dire, mi avesse fatto schifo capirei, ma invece è davvero un romanzetto piacevole, per carità molto più romanzetto storichetto che grande romanzo della letteratura contemporanea, ma pur sempre un piacevole diversivo. Voglio ridire, fosse capitatomi tra le mani per sbaglio o mi fosse stato imposto di leggerlo, avrei capito il disgusto verso un possibile post, ma assolutamente no, erano anni che osservavo quella copertina, che leggevo quel titolo e pensavo: "chissà di cosa parlerà sto libro?". Quindi meravigliatevi con me, come è possibile che non riesca a trovare l'ispirazione per questo accidenti di incipit? Comunque ormai siamo in ballo e balliamo, proviamoci.


Immaginate di trovarvi nudi, soli nel bel mezzo di una foresta sconosciuta, abbiate una fame terribile, sia inverno e sopratutto vi sentiate osservati da decine di occhi che vi scrutano nell'ombra. Non sembra decisamente il preludio ad un weekend romantico. Ecco come mi immagino la vita dei nostri antenati, che è vero che non si sono ritrovati all'improvviso in mezzo ad una foresta ma è anche vero che ci sono nati e che dovettero combattere per la vita e poi per una evoluzione nella quale, non era scritto da nessuna parte che l'uomo sarebbe riuscito a farsi grande e a sopravvivere alle altre specie. Tranquilli, il romanzo è per l'appunto un romanzo, non un saggio, quindi non ci saranno tediose descrizioni su come si scheggiano le pietre o su come si cucinano i castori giurassici o le zebre giganti del Congo Antico. Il romanzo è ambientato in un'era lontana ma i protagonisti sembrano usciti da una fiction nostrana, immersi in una vita fatta di famiglia, di lavoro, di studio, solo che in un mondo leggermente più ostile del nostro. Non so quanto questo post possa avervi attratto verso il libro, quello che posso dirvi è che non mi sono affatto pentito di averlo comprato, anche se ammetto, ho sempre evitato di farlo in libreria e ho dovuto aspettare di trovarlo al Mercatino dell'usato, alla docile cifra di € 1,99 (se fosse stato € 2,00 col cazzo che lo prendevo, oh signori supremi del marketing). Saluti dall'Era Cenozoica.


domenica 21 febbraio 2016

The first Erri De Luca of my life


Qual è il vostro scrittore preferito? Il mio, anzi i miei, sono Milan Kundera e Bruce Chatwin (almeno finché non ne scoprirò altri altrettanto speciali). Entrambi, come immaginerete, sono stranieri. Curioso, perché se ci pensate, amiamo tanto scrittori stranieri ma raramente ci capita di leggerli nella versione originale. Voglio dire, immaginate di leggere “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” in inglese: come potrà mai avvicinarsi alla versione originale? Gli amici inglesi potranno senz'altro entrare nelle atmosfere romane del libro ma non entreranno mai nella vera essenza delle parole. Mi capita spesso di pensare, ad esempio per Bruce Chatwin, come sarebbe leggerlo in inglese, se non sarebbe molto più intenso o se invece, il traduttore italiano non sia stato talmente bravo, da trasmettere nella nostra lingua, le sottigliezze che Chatwin voleva dare al suo pubblico. 

Ma aimé, il mio inglese non mi permette di spingermi oltre un “Alice nel paese delle meraviglie” per le elementari, così riverso la mia attenzione agli autori italiani, ai quali per altro, potrei fare i complimenti dal vivo, nel caso li incontrassi casualmente al mercato. Uno a cui farei senza dubbio i complimenti è Erri De Luca, del quale non entro in merito riguardo appartenenze politiche o battaglie personali, ma solo per quello che scrive nei libri. Non lo avevo mai letto, finché questo Natale, il buon Babbo, mi ha portato “Il peso della farfalla”. Il libro è arrivato dal camino il 24 notte e il 25 pomeriggio era già in libreria, nella sezione dei libri letti. Erri (permettimi di darti del tu maestro), racconta un storia di montagna, in cui natura e uomo si fondono, alla ricerca del proprio essere e nella lotta estrema per la sopravvivenza. 
Ho detto tutto e non ho detto niente ma credetemi, la trama conta poco. Si potrebbe parlare di Alpi come di Lampedusa, di un cacciatore come di un pescatore, quello che conta è come si raccontano le atmosfere, come si entra nei personaggi e li si delinea con poche parole, ma chiare e senza fronzoli. Tante volte ho usato questi termini per descrivere un libro ma stavolta è davvero difficile raccontare cosa mi ha suscitato leggere De Luca. Non so se anche negli altri milioni di libri che ha pubblicato, il testo scorra via così lieve, ma vi assicuro che questo sembra più una chiacchierata informale, che un libro. La sua prosa è poesia e se mi capita di incotrare Erri mentre compro il radicchio, glielo dico chiaro e tondo, con occhi di giovanile ammirazione. Chissà se tradotto in inglese, tutta questa poesia possa rimanere. Da parte mia, anche solo imitarlo in italiano, sarebbe un grande traguardo. Erri, mi passi quel pompelmo per favore?

domenica 14 febbraio 2016

A San Valentino regala un libro. Però buttati su Alberto Angela che è meglio.



Un giorno decisi che era tempo di approfondire la storia di Roma antica, così comprai un bel librone che me la riassumesse e che mi facesse tornare alla memoria tutti quei nomi di re ed imperatori che troppo velocemente al liceo avevo studiato. Lessi dei Gracchi e di Cesare, di Romolo e di Augusto, di Adriano e di Costantino. E poi, relegato in una paginetta, in un periodo per Roma in cui si susseguivano ammazzamenti ed incoronamenti, trovai Eliogabalo. Sesto Vario Avito Bassiano, per gli amici Eliogabalo, era nato a Roma (almeno così dice Wikipedia), dalla dinastia dei Severi ma aveva origini siriane, in particolare della città Emesa, oggi conosciuta come Homs, non molto lontano dalla tristemente nota Palmira, patrimonio dell'Unesco, ora preda dei saccheggi dell'isis e dei sui seguaci, probabilmente non amanti dell'archeologia e della bellezza in generale.

Eliogabalo, nonostante il piccolo spazio sul libro, non fu un imperatore come gli altri. Per carità, tutti avevano le loro turbe, le loro manie, i loro pazzi progetti, ma Eligabalo, che regnò dal 218 al 222 d.C., li batteva tutti. Ebbe varie mogli e anche qualche marito, tanto per restare emancipato al punto giusto, e lo scopo del suo breve regno (e breve vita) fu quello di sfruttare la sua carica per portare a Roma il culto della sua città d'origine, una sorta di adorazione del sole, con annesso pezzo di meteorite conservato in tempio sacrissimo. I romani non erano certo digiuni di dei particolari e di esaltati esaltatori ma l'idea di far scalare la loro gerarchia di dee e dei, ad un pezzo di pietra, non andò giù a molti (più che altro i senatori, che con Eliogabalo persero il potere). L'adorazione di questa pietra, inoltre, portava come accessorio, tutta una serie di riti a sfondo sessuale, in cui Eliogabalo, degno sacerdote, eccelleva, interessato più che altro ad accoppiarsi e a farsi accoppiare, che a governare il suo impero.

Nella mia sete di torbido e gossip archeologico, ho provato a capirne di più sul morigerato imperatore e ho letto “Eliogabalo” di Antonin Artaud, libro che spassionatamente non consiglio, né per approfondire la storia romana né per leggerlo a mo' di fiaba della buonanotte. Artaud sembra voler, più che raccontarci Eliogabalo, quasi farsi possedere dal suo spirito e scrivere di getto tutto quello che gli passa per testa, presentando il suo pupillo come un anarchico ante-litteram. Anarchico di se stesso più che per il popolo. Che Artaud non sarebbe stato per me, il Piero Angela della situazione, lo avrei forse dovuto capire dalla dedica del libro: “ai mani d'Apollonio di Tiana, all'anarchia e alla guerra, agli Antenati, agli Eroi del senso antico e ai mani dei Grandi Morti”. Bé caro Antonin, proprio bene bene non dovevi stare, degno biografo di degno imperatore.

Questa mia dunque, non è tanto per pubblicizzarvi Artaud, che non metto in dubbio sarà stato un maestro e un grande scrittore, ma per spronarvi a leggere qualcosa in più su Roma (o sulla vostra città). Quale soddisfazione maggiore sarò per voi, girare per il centro e riconoscere monumenti e nomi di imperatori sui cartelli delle vie? Non tutti i protagonisti saranno fighi come Adriano o come Cesare, ma mal che vada, avrete scoperto qualcosa in più sulla storia della vostra città che è, in fondo, la storia di chi siete oggi e da dove venite. Ave lungotevere bloccato, automobilisti te salutant.