Ormai lo avrete capito. Io nei miei articoli del blog non
racconto mai la trama del libro. Al massimo, l’accenno. E comunque non entro
mai nei particolari. Nel caso di “Nove
gradi di libertà” di David Mitchell
poi, il compito è reso ancora più facile dal fatto che non è un romanzo, ma una
raccolta di nove piccole storie. E che volete, che vi racconti la trama di nove
storie? L’idea di Mitchell è carina (anche se non è stato certamente il primo
ad inventarla): nove storie, ognuna ambientata e vissuta in posti diversi da
personaggi diversi, legate però tra loro da un particolare, un episodio, un
personaggio, che in una storia può essere protagonista mentre in un’altra
diventa solo comparsa di un minuto.
Sapete poi, che oltre a raccontare poco
della trama, solitamente non faccio mai eccessive critiche, anche perché parlo
solo libri che mi sono piaciuti, quindi cosa avrei da criticare? Eppure,
nonostante nel complesso, quello di Mitchell sia un bel libro, devo dire che, (caso
rarissimo visto che di solito è il contrario) ha il difetto di partire bene ma
finire male, non come la commedia greca, ma nel senso che tre/quarti dei
racconti sono molto belli e coinvolgenti, mentre gli ultimi si perdono un po’ e
danno l’idea di ripetersi troppo e di sfiorare eccessivamente il surreale.
Ma lo
ripeto (avrò usato troppe volte la parola “ripeto”?), qui lo dico e qui lo
nego, “Nove gradi di libertà” è un libro che consiglio, perché anche se non
sono un fan del genere (tanti racconti in un solo testo), non pesa il fatto di
leggere venti pagine di un racconto e poi dover ricominciare con un altro,
anzi, è curioso e stuzzicante andare a scoprire quando, nel racconto
successivo, saranno citati eventi o personaggi di quello precedente che però,
nel racconto suddetto, non avranno alcuna influenza e saranno come foglie
portate dal vento, che restano qualche secondo sulla strada finché il vento se
le riporta via. E poi, visto che siamo in tema di eventi casuali e scherzi del
destino, in uno dei racconti (ambientato a Londra), il personaggio principale
si chiama Marco e quindi può non essermi simpatico il caro Mitchell?
Per la
cronaca Marco è un latin lover di donne mature (possibilmente sposate) che vive
sopra un pub e di mestiere fa il ghost-writer, guadagnando abbastanza per sopravvivere
tre settimane al mese e poi morire di fame l’ultima. E’ o non è il sogno di
ogni aspirante scrittore maledetto del XXI secolo? Assenzio, vieni a me.
Ottimo. Mi ero perso il fatto che l'avessi letto.
RispondiEliminaSarebbe bello essere come Marco, cazzo!
Mi sono immedesimato subito nella devastazione morale del personaggio ahahah
Elimina