Come spesso accade, ho letto un libro su
suggerimento di qualcuno. Come raramente accade, ho letto un libro su
suggerimento di qualcuno morto. Nell’ultimo post scritto, ho parlato di Bruce Chatwin e delle sue lettere indirizzate a parenti e conoscenti sparsi per il
globo. Ebbene, in una di queste, citava “La ballata del caffè triste” di Carson
McCullers, tessendone le lodi e indicandolo come uno dei racconti più belli mai
letti. Segnatomi il titolo su un foglietto, in attesa di trovare il racconto in
qualche bancarella di libri usati, il destino ha invece voluto che il suddetto
libro lo trovassi in casa, esattamente in un grande scatolone accatastato in un
angolo della cantina. Immaginate lo stupore quando, cercando un vecchio libro
dell’università tra i tanti ammucchiati a prender polvere, mi sono ritrovato
tra le mani proprio “La ballata”, per altro in una vecchia ed odorosa edizione della Bur, con tanto di copertina con caffè parigino di inizio novecento. A quel
punto, visto che anche il destino (oltre che il morto) mi indicava la via per il romanzo, l’ho letto, scoprendo, con grande meraviglia, che la signora Carson ci
sapeva fare e complimenti anche alla traduttrice, visto che ci siamo.
La storia
è ambientata in un paesino del profondo sud statunitense, più o meno negli anni
30, in una cittadina abbandonata da Dio, in cui l’unica attività per la gente
era quella di lavorare alla filanda, spazzare l’ingresso di casa dalla polvere
e distruggersi il fegato di alcool distillato. In questo ambientino, la
scrittrice lancia come dadi su un tabellone, tre personaggi strambi: un donnone
proprietaria di un emporio che trasforma in un bar, un gobbo cugino della
donnona che arriva vestito di stracci e diventa il re del villaggio e l’ex
marito della donnona, appena uscito di galera. La scrittrice lancia i dadi, poi
quello che succede succede, si dirà. E difatti la storia è originale, quasi accostabile al nonsense, sempre in bilico
tra un palcoscenico che sembra immobile e destinato all'oblio e strambi
attori, che invece si muovono eccome e danno colore alla loro esistenza
come a quella dell’intero paese, anche se in realtà, restano sempre fermi nello
stesso posto. Nessun eroe, nessun personaggio in cui identificarsi, nessun
riscatto sociale né lieto fine che salvi il mondo ma un romanzetto da leggere
tutto d’un fiato, perdendosi nella fantasia a ricostruire i personaggi con le fattezze più strane che si può.
Maneggiare con cautela però, sempre accompagnati da un sorso di grappa o di
whisky perché no, quel tanto che basta per annebbiarvi un po’ e farvi credere
davvero che sia stato un morto a suggerirvi quel libro, e quello stesso morto a
farvelo trovare. L’eterno riposo dona a loro o Signore e splenda per essi la
luce perpetua. Così possono leggere anche di notte.
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