Non credo di scrivere una banalità, se affermo che il sogno di tutti voi, anche se non ci pensate mai, sia quello di viaggiare nel tempo. E' ovviamente anche il mio sogno, seppur quando immagino di fare questi ipotetici viaggi, non sogno mai di farli nel futuro ma sempre nel passato. Sarà che mi piace la Storia e che quindi non c'è occasione che manchi per immaginarmi nella Roma di Augusto, nella Sardegna dei nuraghi, con i nativi quando videro arrivare dal mare le caravelle di Colombo o durante la Seconda Guerra Mondiale. Quello che mi piace di più è pensare come vivessero le persone e confrontare la mia visione delle cose con la loro. Pensate anche solo al fatto che oggi prendendo un aereo, voi potete vedere le Alpi dall'alto, una cosa che nessun essere umano fino a 150 anni fa poteva anche solo immaginare.
Ho letto un libro bellissimo: "La storia del mondo in 12 mappe" di Jerry Brotton. E' un librone grande e impegnativo (mentre lo leggevo sembrava quasi che stessi preparando un esame universitario), ma è stato un bellissimo viaggio nella storia del mondo e sopratutto nella storia dello sviluppo del pensiero umano attraverso la geografia e la cartografia. Si parte dalle origini, ovvero da Tolomeo, l'astrologo, astronomo e geografo greco che lavorò ad Alessandria d'Egitto, dove si dice, ci fosse la più grande biblioteca del mondo. Chissà cosa saremmo noi oggi se non fosse andata perduta. Dall'Egitto parte così un viaggio attraverso la storia, per ricostruire l'evoluzione della cartografia e della geografia. Brotton si fa una domanda fondamentale: è possibile realizzare una mappa che sia il più neutrale possibile? Secondo lui no, nemmeno oggi in epoca moderna con Google Maps. Secondo lui, ogni mappa, è figlia della sua epoca e del contesto in cui nasce. I cristiani mettevano Gerusalemme al centro, mentre i coreani ovviamente ci immaginavano la Corea. Poiché non si poteva avere la stessa precisione di oggi, ogni cartografo impostava la propria mappa in base alle esigenze: c'è chi metteva Dio in alto sulla cartina a benedire la Terra, c'è chi si concentrava sull'Africa perché c'erano interesse coloniali, chi addirittura (come gli arabi) metteva il sud in alto e quindi realizzava mappe completamente diverse rispetto alla versione "occidentale". Spagnoli e Portoghesi, con una linea tracciata su una mappa, si sono divisi il mondo allora consociuto, ma era sempre e comunque un mondo svelato attraverso i loro occhi di conquistatori e non un mondo oggettivo.
Si potrebbero scrivere 12 articoli diversi su questo libro, per ogni capitolo, ma spero che bastino queste poche righe per stramettervi la mia felicità per aver passato 3/4 mesi (leggevo piano piano, per gustarmelo) in giro per il mondo antico, negli stessi panni degli uomini che vivevano quell'epoca e scoprivano letteralmente il loro mondo giorno dopo giorno. Volete sapere qual è il mio capitolo preferito? Ovviamente quello sulle esplorazioni di Colombo e sul Mappamondo di tale Martin Waldseemuller del 1507: il primo a rappresentare l'America come un continente separato, seppur ancora completamente inesplorato, sopratutto al Nord. Questa carta fu acquistata nel 2003 dalla Library of Congress per 10 milioni di dollari: giusto per far capire come gli americani ci tengano alla loro seppur breve storia. Sempre sempre, viva la geografia!
(ovvero, tutto quello che avreste voluto chiedere sulla letteratura ma vi siete ben visti dal farlo)
martedì 26 dicembre 2017
domenica 3 dicembre 2017
Mi tatuerò "Alex Zanardi" sopra il cuore
Non credo possa esserci un giorno migliore per parlarvi del libro di Alex Zanardi: "Volevo solo pedalare". E' un giorno sportivamente nefasto per me perché il Milan ha appena pareggiato contro il Benevento ultimo in classifica. Per chi come me cova una rabbia repressa esagerata, in questi casi bisogna fare appello a tutte le forze per non spaccare qualsiasi cosa si trovi sotto tiro. E per placare l'animo ed evitare di farsi denunciare dal vicinato per schiamazzi, non c'è niente di meglio che leggersi e rileggersi la seconda vita di Zanardi, quella nella quale il pilota romagnolo, ha continuato a fare il pilota anche senza gambe. La vicenda più o meno ve la ricordate tutti: il 15 settembre 2001 sul circuito tedesco del Lausitzring, Zanardi fu vittima di un pauroso incidente automobilistico. Miracolosamente si salvò ma dopo decine di interventi, perse le gambe, che gli furono amputate. Non si perse d'animo però e anzi, come scrive nel libro, il suo primo pensiero dopo essersi svegliato dal coma non fu quello di come avrebbe fatto a stare senza gambe, ma di come sarebbe riuscito a fare esattamente le stesse cose che faceva prima, pur senza gambe.
Anche il resto della storia è piuttosto nota: Zanardi tornò a correre in auto e addirittura a vincere qualche gara, nelle stesse categorie dove correvano i cosidetti "normodotati". Non solo, Zanardi incontrò per caso una persona nella sua stessa condizione, che praticava l'handbike e si mise in testa di provarci, con risultati che l'hanno portato a vincere medaglie alle paraolimpiadi di Londra e Rio. Adesso voi mi dovete dire come faccio io ad essere ancora incazzato con il mondo per colpa del Milan, quando poi leggo di queste storie meravigliose, in cui un superuomo (perché così lo considero), prende a calci nel sedere il proprio destino e affronta la vita con la semplicità che avrei io nel bere un bicchiere d'acqua.
Ok, probabilmente anche Zanardi avrà una sua squadra del cuore e anche lui si arrabbierà ogni tanto, è umano. Ma infatti il vero problema non sta tanto nell'arrabbiarsi o meno per il risultato di una squadra, quanto nel farsi condizionare così tanto dal rovinarsi la domenica.
Ma che c'entra però Zanardi con il calcio, direte voi? Nulla, ne sono consapevole ma avevo urgentemente bisogno di scrivere e sfogarmi e si da il caso che quello di Alex sia l'ultimo libro che abbia letto e che potevo raccontare. Adesso vado a mangiarmi la Nutella e a riguardarmi su Youtube tutte le gare di Zanardi alle Paraolimpiadi. Se non altro so già come va a finire e a fine gara avrò una scusa per festeggiare e chiudere in bellezza la domenica. Grazie Zanardi.
Anche il resto della storia è piuttosto nota: Zanardi tornò a correre in auto e addirittura a vincere qualche gara, nelle stesse categorie dove correvano i cosidetti "normodotati". Non solo, Zanardi incontrò per caso una persona nella sua stessa condizione, che praticava l'handbike e si mise in testa di provarci, con risultati che l'hanno portato a vincere medaglie alle paraolimpiadi di Londra e Rio. Adesso voi mi dovete dire come faccio io ad essere ancora incazzato con il mondo per colpa del Milan, quando poi leggo di queste storie meravigliose, in cui un superuomo (perché così lo considero), prende a calci nel sedere il proprio destino e affronta la vita con la semplicità che avrei io nel bere un bicchiere d'acqua.
Ok, probabilmente anche Zanardi avrà una sua squadra del cuore e anche lui si arrabbierà ogni tanto, è umano. Ma infatti il vero problema non sta tanto nell'arrabbiarsi o meno per il risultato di una squadra, quanto nel farsi condizionare così tanto dal rovinarsi la domenica.
Ma che c'entra però Zanardi con il calcio, direte voi? Nulla, ne sono consapevole ma avevo urgentemente bisogno di scrivere e sfogarmi e si da il caso che quello di Alex sia l'ultimo libro che abbia letto e che potevo raccontare. Adesso vado a mangiarmi la Nutella e a riguardarmi su Youtube tutte le gare di Zanardi alle Paraolimpiadi. Se non altro so già come va a finire e a fine gara avrò una scusa per festeggiare e chiudere in bellezza la domenica. Grazie Zanardi.
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domenica 12 novembre 2017
Moore gimme Moore gimme Moore if you love me gimme Moore gimme Moore gimme Moore.
Se dovessi consigliare due scrittori americani che mi piacciono molto, direi tra tutti: Dave Eggers e Christopher Moore. Sia chiaro però che quando dico che mi piacciono, ovviamente non intendo dire che ho letto proprio tutto tutto quello che hanno scritto né che quello che ho letto mi sia piaciuto sempre. Ad esempio Moore (protagonista del post di oggi) ha scritto "Un lavoro sporco", "Il Vangelo secondo Biff" e "Sacre Bleu" che sono libri piacevolissimi e che ti fanno immergere nei suoi mondi pieni di fantasia e risate. Ma ha scritto anche "Suck! Una storia d'amore" che è un libro decisamente bruttino (per fargli un complimento). Se dico che sia meglio scrivere poco ma bene, intendo che non è che per forza uno scrittore affermato debba scrivere un libro l'anno, anche perché il rischio è quello di fare un buco nell'acqua. Secondo la mia umile opinione Suck! infatti, è un gigantesco buco nell'acqua.
Di cosa si parla? La storia è semplice: ci sono dei vampiri teenager e degli aspiranti vampiri teenager. Ci sono i vampiri cattivi e quelli buoni, quelli assetati di sangue e sesso e quelli che vogliono diventare vampiri per rimanere sempre giovani e belli (ma spaventosamente pallidi). Però sto tema del vampiro è trito e ritrito. Se vuoi raccontare di vampiri (e a Moore piace il genere) mi devi coinvolgere in qualcosa di nuovo, non basta ambientare la storia a San Francisco né metterci dentro un non-morto che si veste da rapper. E poi boh, il racconto inizia già a metà della storia: il protagonista è già stato vampirizzato, il cattivone è già stato sconfitto ma noi lo scopriamo solo dopo, c'è una prostituta con la pelle blu che dovrebbe essere un personaggio curioso ma che non si capisce che cavolo c'entri con il resto della storia.
Va bene Moore, abbiamo capito che avrai firmato un contratto e dovrai
pubblicare un libro ogni sei mesi ma ti prego cambia genere o fai finta che ti appassionino un pò le cose che scrivi. Sappi che la mia stima nei tuoi confronti resta immutata (d'altronde tu sei uno scrittore e io no) ma davvero, se uno deve pubblicare solo per fare curriculum, prenditi un anno sabatico e scrivi qualche poesia. Hai visto mai fossi bravo anche a fare quello.
Di cosa si parla? La storia è semplice: ci sono dei vampiri teenager e degli aspiranti vampiri teenager. Ci sono i vampiri cattivi e quelli buoni, quelli assetati di sangue e sesso e quelli che vogliono diventare vampiri per rimanere sempre giovani e belli (ma spaventosamente pallidi). Però sto tema del vampiro è trito e ritrito. Se vuoi raccontare di vampiri (e a Moore piace il genere) mi devi coinvolgere in qualcosa di nuovo, non basta ambientare la storia a San Francisco né metterci dentro un non-morto che si veste da rapper. E poi boh, il racconto inizia già a metà della storia: il protagonista è già stato vampirizzato, il cattivone è già stato sconfitto ma noi lo scopriamo solo dopo, c'è una prostituta con la pelle blu che dovrebbe essere un personaggio curioso ma che non si capisce che cavolo c'entri con il resto della storia.
Va bene Moore, abbiamo capito che avrai firmato un contratto e dovrai
pubblicare un libro ogni sei mesi ma ti prego cambia genere o fai finta che ti appassionino un pò le cose che scrivi. Sappi che la mia stima nei tuoi confronti resta immutata (d'altronde tu sei uno scrittore e io no) ma davvero, se uno deve pubblicare solo per fare curriculum, prenditi un anno sabatico e scrivi qualche poesia. Hai visto mai fossi bravo anche a fare quello.
Ubicazione:
San Francisco, California, Stati Uniti
sabato 28 ottobre 2017
La felicità è reale solo quando è condivisa (Tolstoj)
Uno
dei miei film preferiti, se non IL PREFERITO, è “Into
the wild” di Sean
Penn. Lo adoro ma non perché sogni di fare quello che ha fatto
Christopher McCandless (ovvero morire da solo in una foresta tra
atroci sofferenze), quanto perché Christopher è un tipo tranquillo,
grande lettore e soprattutto uno che pensa diecimila volte prima di
aprire bocca e parlare. A proposito di gran lettore: nel film vengono
citati tantissimi libri e proprio perché sono un fan, negli anni me
li sono letti quasi tutti. Ad esempio ho letto: Delitto e Castigo,
Dottor Zivago, Walden vita nei boschi, Disobbedienza civile, Il
richiamo della foresta e così via.
Poi c’è un libro strano e
sconosciutissimo di Gogol, che si chiama “Taras
Bulba”. Alzi la
mano chi lo conosce: gli offro un caffè! Ma una passione è una
passione e così mi sono comprato anche questo romanzo e l’ho
letto. Tranquilli, non solo sono sopravvissuto ma mi è anche
piaciuto. Il romanzo è ambientato nel 1400 circa tra Ucraina e
Polonia e racconta per l'appunto, le avventure di questo Taras,
leader dei cosacchi. Ma i cosacchi non erano quelli che c’entravano
qualcosa con la Rivoluzione Russa? Si, infatti erano un popolo nomade
che era stanziato in Russia già da secoli e che durante gli anni
della Rivoluzione si era schierato prima con i bolscevichi e poi
successivamente contro.
Comunque questo sarebbe accaduto molto dopo,
Gogol invece ci racconta di secoli prima e di questi nomadi guerrieri
che passavano la vita a combattere e a bere, a bere e a mangiare, a
mangiare e a combattere. Insomma, campavano trent’anni ma almeno si
divertivano. Il romanzo come detto, è piacevole e molto simile ai
nostri romanzi cavallereschi (tipo l’Orlando Furioso), in cui ci
sono nobili valori, donne che fanno perdere la testa, legami
d’amicizia, sprezzo del pericolo. Non vi racconto come finisce ma
sappiate che Taras ha la pelle dura e non muore a trent’anni come
gli altri. Ora vi aspetterete che vi consigli il libro e vi dica di
correre a comprarlo? Secondo me non lo troverete nemmeno nell'ultima
libreria dell'universo, però nel caso fosse, nel caso proprio caso
caso lo trovaste e lo leggeste, bé allora ricordatevi di me e
dell'unica persona al mondo che ha letto questo libro. Che secondo me
anche Gogol s'era scordato di averlo scritto.
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Ucraina
martedì 10 ottobre 2017
Torna, 'sta casa aspetta a te.
Per il mio viaggio supermegafigo in Cile e soprattutto per le circa 60 ore d'aereo che avrei dovuto affontare, ho portato nella valigia 2 libri a farmi compagnia. Voi penserete: "Due libri sono pochini per 60 ore!". Giusto, ma sapevo anche che sull'aereo avrei trovato lo schermino e una serie infinita di film e che quindi avrei potuto alternare la lettura a qualche bella puntata dei Simpson con i sottotitoli in spagnolo. Giusto per curiosità, i sottotitoli in spagnolo mi hanno salvato quando ho provato a vedere in lingua originale "Gomorra" di Garrone: al terzo minuto già mi ero perso circa il 99% delle battute in napoletano e quindi ho dato un senso al film solo leggendo lo spagnolo nei sottotitoli (per altro pochi, visto che è una sparatoria continua).
Chiuso il capitolo cinema, passiamo ai libri e in particolare a "Il leader calmo" di Carlo Ancelotti. Per l'esattezza il libro non è solo di Ancelotti ma anche di tali Brady e Forde che hanno aiutato il buon Carlo a mettere in ordine i ricordi e hanno commentato i suoi aneddoti con spunti sulla leadership. Diciamo che il libro ha assolto perfettamente il compito che gli avevo chiesto, ovvero farmi compagnia a 10 mila metri d'altezza, ma per il resto, non c'era niente di quello che mi sarei aspettato. Non è una biografia (quella in effetti Ancelotti l'aveva già scritta) ma secondo me non è nemmeno un buon libro sulla leadership (ammetto però di non essere un esperto del settore). E' noiosetto, è banalotto, è ripetitivo, insomma è brutto. Scusa Carlo, ti voglio benissimo e te ne vorrò sempre ma questa te la potevi risparmiare.
Va bene che ormai tra libri sulla Pnl del criceto e sull'Arte della Guerra applicata a come cucinare una carbonara, tutti hanno scritto di tutto, ma insomma, non vuol dire che ogni libro debba essere per forza pubblicato. Tuttavia non escludo che io forse, non essendo un leader (e non ambendo a diventarlo) non abbia capito il senso segreto del libro. Può darsi. Magari è un capolavoro della tecnica e io non me ne sono accorto. O forse nel pranzo della Delta c'era un pò troppo aglio e i miei sensi di lettore erano confusi.
Ma in fondo io sono un tipo semplice, un pò d'altri tempi. A me non serviva un libro caro Carlo, a me bastava una frase, del tipo: "Marco, scusami tanto per quella notte di Istanbul. So che poi ci siamo rifatti ma io e i ragazzi ci tenevamo a scusarci, soprattutto Sheva per quel gol mancato al 199esimo". E io vi avrei perdonati Carlo, l'ho già fatto da tanto. Ti voglio bene Carlo. Torna a casa.
Chiuso il capitolo cinema, passiamo ai libri e in particolare a "Il leader calmo" di Carlo Ancelotti. Per l'esattezza il libro non è solo di Ancelotti ma anche di tali Brady e Forde che hanno aiutato il buon Carlo a mettere in ordine i ricordi e hanno commentato i suoi aneddoti con spunti sulla leadership. Diciamo che il libro ha assolto perfettamente il compito che gli avevo chiesto, ovvero farmi compagnia a 10 mila metri d'altezza, ma per il resto, non c'era niente di quello che mi sarei aspettato. Non è una biografia (quella in effetti Ancelotti l'aveva già scritta) ma secondo me non è nemmeno un buon libro sulla leadership (ammetto però di non essere un esperto del settore). E' noiosetto, è banalotto, è ripetitivo, insomma è brutto. Scusa Carlo, ti voglio benissimo e te ne vorrò sempre ma questa te la potevi risparmiare.
Va bene che ormai tra libri sulla Pnl del criceto e sull'Arte della Guerra applicata a come cucinare una carbonara, tutti hanno scritto di tutto, ma insomma, non vuol dire che ogni libro debba essere per forza pubblicato. Tuttavia non escludo che io forse, non essendo un leader (e non ambendo a diventarlo) non abbia capito il senso segreto del libro. Può darsi. Magari è un capolavoro della tecnica e io non me ne sono accorto. O forse nel pranzo della Delta c'era un pò troppo aglio e i miei sensi di lettore erano confusi.
Ma in fondo io sono un tipo semplice, un pò d'altri tempi. A me non serviva un libro caro Carlo, a me bastava una frase, del tipo: "Marco, scusami tanto per quella notte di Istanbul. So che poi ci siamo rifatti ma io e i ragazzi ci tenevamo a scusarci, soprattutto Sheva per quel gol mancato al 199esimo". E io vi avrei perdonati Carlo, l'ho già fatto da tanto. Ti voglio bene Carlo. Torna a casa.
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Ubicazione:
Via Milanello, 25, 21040 Carnago VA, Italia
martedì 22 agosto 2017
Lo sapevate che a Roma Nord, c'è una via dedicata al padre di Piero Angela?
Sto leggendo "La casa in collina" di Cesare Pavese e la prima parte si svolge a Torino, durante i diversi bombardamenti che la città subì nella Seconda Guerra Mondiale. In quella città, sotto quei bombardamenti (che Pavese però osservava dalla sua collina), c'era anche un ragazzino, destinato a diventare uno dei volti più amati della TV italiana: Piero Angela. Ovviamente Pavese non sapeva chi fosse questo giovanissimo Piero Angela né Piero poteva immaginare che Pavese se ne stesse a bighellonare nei boschi mentre Torino bruciava, ma è comunque un bel gioco quello di immaginare gli incroci incredibili di vite in apparenza così distanti.
Lo avrete capito ormai, non ho saputo né voluto resistere: mi sono fatto regalare la biografia di Angela "Il mio lungo viaggio: 90 anni di storie vissute". Piero Angela è decisamente un modello, un mito, un punto di riferimento per generazioni di italiani, che grazie a lui hanno capito una cosa importantissima: imparare può non essere una cosa noiosa! Angela a dire il vero, da quello che racconta, non era molto convinto di scrivere una sua biografia. Non voleva apparire autoreferenziale né annoiare il lettore con episodi troppi personali. Alla fine qualcuno, fortunamentamente, lo ha convinto e così noi possiamo leggere della sua vita, in quella Torino borbardata, in quella infanzia borghese e privilegiata, ma nella quale è cresciuto comunque con tante privazioni dovute alla Guerra, privazioni che probabilmente formeranno il suo carattere (in positivo) per tutta la vita. Angela racconta poi mille altre storie, non solo quella di come nacque Quark e SuperQuark. Racconta del suo entusiasmo per l'unione Europea, del suo rammarico per il nostro meraviglioso patromonio artistico non valorizzato, della sua vita a Parigi e in Belgio, con cieli bassi e nuvolosi ma grandi soddisfazioni lavorative.
Non c'è niente che possa essere definito gossip, ma solo riflessioni, pensieri, speranze. Leggere la biografia di Piero Angela significa leggere una lettera aperta che un nonno scrive a milioni di nipoti, in cui non c'è nulla di nostalgico per il passato ma solo un grande messaggio di speranza per il futuro.
Non che Angela regali solo baci e abbracci, sia chiaro. E' lucido quando condanna comportamenti e atteggiamenti negativi di noi italiani, ma allo stesso tempo se si arrabbia, lo fa perché crede fortemente in un possibile cambiamento, che non può partire solo dalla politica ma che deve nascere da ogni singolo. Se c'è una cosa che mi ha lasciato questo libro è il rafforzarsi della stima e del rispetto verso Angela e il suo lavoro. E non mi viene nemmeno una battuta spiritosa con cui chiudere il post perché adesso sinceramente, avrei solo voglia di mollare tutto e iscrivermi ad Archeologia. Magari se rinasco.
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Torino TO, Italia
lunedì 7 agosto 2017
Sono le 22e49 di una calda sera di agosto e a me vien voglia di parlarvi del Gattopardo. Che finaccia...
Adesso ditemi un libro che vi viene in mente, il primo, che associate alla noia. Ma non dovete associarlo alla noia perché lo avete letto e non vi è piaciuto, no, dovete considerarlo noiosissimo a prescindere. Che so, ad esempio se penso ai libri che da piccolo vedevo nella libreria dei miei genitori, mi balza subito in mente "Via col vento", un mattone buono giusto per aprirci il cocco. Poi al secondo posto mi viene in mente "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che tra l'altro i miei avevano in una bella edizione di qualche decennio fa, probabilmente anche di un qualche valore oggi. Leggevo diecimila volte le prime righe; quella frase del rosario in latino e poi l'inizio di una descrizione, e puntualmente scoppiavo a ridere alla sola idea di continuare a leggere un libro che doveva essere noioso forse più di Via col Vento (di cui almeno conoscevo il finale, e no, alla fine nessuno vola via a causa della bora). Poi però accade che passa il tempo, che magari compri una versione moderna del libro (stavolta senza la vecchia copertina rigida) e quasi quasi ci butti l'occhio. Dici: "Ma se sto libro è così famoso ci deve essere un motivo! Voglio dire, mi hanno costretto a leggere quel supplizio dei "Promessi Sposi", questo non potrà essere peggio". Così supero la prima pagina, la seconda, la terza e mi rendo conto che il libro è bello veramente, che scorre, che addiruttura (e qui si sprecano i punti esclamativi) fa ridere!!!! Hai capito sto Tomasi di Lampedusa, che poveraccio gli hanno pure pubblicato il libro dopo morto e non si è nemmeno goduto il successo.
Ma di cosa parla sto Gattopardo? E' la storia di una nobile famiglia siciliana di cui si raccontano le vicissitudini a partire dall'Unità di Italia, fino al primo decennio del 900. Ci sono vari personaggi ma l'attore principale (nonché capofamiglia) è Don Fabrizio Corbera, Principe di Salina. E qui ecco un'altra sorpresa: questo protagonista, che dovrebbe essere in realtà uno spocchioso, classista, rompicoglioni, addirittura risulta simpatico. Altro miracolo del Tomasi. Adesso io dovrei parlarvi anche delle varie sfaccettature del romanzo: dovrei forse entrare nei dettagli dei personaggi, delle vicende, di quello che si vuole dire dicendo altro. Perché secondo me questo libro è bello anche perché racconta ma non spiega. Un pò come "La fattoria degli animali" di Orwell, tu devi cercare di capire qual'è il vero significato delle parole ma non è detto che lo capisci o magari i significati sono tanti e vanno tutti bene o sono tutti sbagliati.
Potrei parlarvi di quanto sia malinconico questo maledetto libro e proprio per questo sia irresistibile e affascinante. Potrei dirvi che forse sarebbe meglio far leggere questo di libro al liceo e non i Promessi Sposi, che con tutta onestà, anche all'oratorio dovrebbero bandire. Ma forse per invogliarvi, basta che vi dica che è in questo libro che troverete la famosa frase "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi". E non dite che non l'avete mai sentita che non ci credo. Leggetelo dai, che magari poi ne parliamo e mi dite cosa ci avete capito voi, qual'è il significato, la morale di questo romanzo, che sembra così scontata ma che secondo me, forse nemmeno Tomasi se la ricordava più una volta finito. Leggetelo dai, leggetelo, facciamo rivoltare sto Manzoni nella tomba!
Potrei parlarvi di quanto sia malinconico questo maledetto libro e proprio per questo sia irresistibile e affascinante. Potrei dirvi che forse sarebbe meglio far leggere questo di libro al liceo e non i Promessi Sposi, che con tutta onestà, anche all'oratorio dovrebbero bandire. Ma forse per invogliarvi, basta che vi dica che è in questo libro che troverete la famosa frase "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi". E non dite che non l'avete mai sentita che non ci credo. Leggetelo dai, che magari poi ne parliamo e mi dite cosa ci avete capito voi, qual'è il significato, la morale di questo romanzo, che sembra così scontata ma che secondo me, forse nemmeno Tomasi se la ricordava più una volta finito. Leggetelo dai, leggetelo, facciamo rivoltare sto Manzoni nella tomba!
mercoledì 5 luglio 2017
Devo disintossicarmi dai libri che parlano di Sardegna. Mo mi butto sul Gattopardo e ciao.
Lo sapete, io non vi do mai grandi dettagli su un libro che
ho letto. Se vi aspettate un riassuntino, uno schema di trama, una descrizione
dei personaggi, non sono i miei post che dovete leggere. Io un libro lo racconto
partendo dalle sensazioni: mi è piaciuto o non mi è piaciuto. Tanto diciamo la
verità, dopo qualche mese che uno ha letto un libro, non se la ricorda nemmeno
la trama. L’unica cosa che ricorderà sarà: mi era piaciuto? Non mi era
piaciuto? A questo punto possiamo entrare un pochino di più nel dettaglio e ad
esempio classificare il livello di gradimento dei libri che mi sono piaciuti:
quanto mi sono piaciuti? Il grado massimo è il livello “Kundera/Chatwin”,
ovvero quegli autori dei quali sto pian piano leggendo tutti i libri e che
qualsiasi cosa scrivano (o scrivevano), anche una oggettiva schifezza, per me
restano comunque immortali e inarrivabili modelli da ammirare.
Ci sono poi, a
scendere, gli altri gradi di apprezzamento e c’è un autore che ho appena conosciuto,
che sto cercando di capire in che livello inserire. Si chiama Marcello Fois e
ha scritto un libro che si intitola “Stirpe”, un libro che entra di diritto (squillino
le trombe) tra i 10 libri più belli che abbia mai letto. Ne sono convinto. “Stirpe”
è la classica saga famigliare (di libri così ne ho letti milioni e il genere mi
piace tantissimo) ma quello che mi ha colpito è stato lo stile di Fois: una
prosa bellissima, un misto di italiano e dialetto sardo, che può raccontarti
anche eventi tragicissimi, ma li trasforma in poesia, in miele. Leggendo Fois si ha la
sensazione di essere di fronte ad un maestro, che parli a scolari
analfabeti e goffi. Ci sono delle frasi, dei concetti, delle descrizioni di
sentimenti, di fronte alle quali viene da pensare: “Ma io sarò mai in grado di
scrivere come scrive lui?” Secondo me no.
Adesso sono curioso, vorrei sapere se
questo Fois sa cavarsela bene solo perché racconta storie tormentate o è in
grado di farmi rimanere a bocca aperta anche buttando giù l’elenco della spesa
(secondo me si). Tirando le somme: come sempre non vi ho anticipato nulla di “Stirpe”,
quindi ve lo dovrete leggere sulla fiducia. Vi avverto: si piange. Ovviamente io
non ho pianto ma se avessi una certa sensibilità, avrei piagnucolato dalla
prima all’ultima pagina. Vi avverto: vien voglia di andare in continuazione su
Wikipedia ad approfondire gli eventi. Perché Fois racconta decenni di storia
sarda e mondiale, quindi alla fine del libro saprete tutto su Nuoro, sulla
Prima Guerra Mondiale, sull’affondamento del Lusitania e tanto ancora. Non so
se da ora comincerò a leggere tutto quello che ha scritto Fois; forse si,
forse no, forse si ma me la prenderò con calma e ci metterò una ventina d’anni.
Non so se arriverà mai ai livelli “Kundera/Chatwin” ma so di aver letto un gran bel
libro e di essere convintissimo nel consigliarvelo. E compratevi i fazzoletti. Tanti,
tantissimi fazzoletti.
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giovedì 15 giugno 2017
There she blows!-there she blows! A hump like a snow-hill! It is Moby Dick! (grazie Wikipedia per il testo)
Sono appena tornato da un lungo, lunghissimo viaggio, per i sette mari del mondo. E' stato un viaggio estenuante ma adesso posso dire di aver solcato davvero ogni singola goccia d'acqua su questa Terra. Ho visto un mare bianco latte accecante per il riflesso del sole, ho visto mille sfumature di azzurro che non potete immaginare, ho visto blu intensi che non esistono sulla tavolozza dei colori e ho visto rosso sangue, sangue di uomini di ogni continente.
Ho letto "Moby Dick" di Melville e posso dire di aver letto un romanzo bellissimo. Altro che lettura per ragazzi! Non c'è uomo (o donna) che non si farebbe ammaliare dalla figura ipnotica del Capitano Achab e dall'entusiasmo della sua ciurma, nessuno che possa dire di non aver sognato almeno una volta, di salire a bordo di una nave e scoprire posti inesplorati. Moby Dick è un romanzo che ha in sé tutto: è una storia che appassiona, è un trattato sui cetacei, è sociologia, psicologia, economia, giurisprudenza marina, è storia, geografia, scienze, è un'enciclopedia romanzata. Ammetto che Melville possa risultare un pochino noioso a volte, con quelle sue descrizioni così accurate che se ti deve dire che due marinai si stanno cucinando una zuppa, la zuppa te la deve descrivere da capo a coda e raccontarti nei minimi dettagli come fa a venire su così buona e fumante.
Però l'altro lato della medaglia è che Melville, se lo leggi attentamente, te lo fa quasi sentire l'odore di quella zuppa. Melville è così minuzioso che se domani io decidessi di gettarmi all'inseguimento di una balena, magari nel santuario dei cetacei in Liguria, saprei perfettamente come stancarla, ammazzarla, caricarla, squartarla, conservarla e naturalmente mangiarla. Anche adesso, che sono tornato da questo lungo viaggio ma che sono rilassato sul divano, sento addosso l'odore del mare, gli umori dei marinai, il rumore del vento che muove le vele e quel mio compagno marinaio che da la su, ci urla che vede uno spruzzo d'acqua all'orizzonte.
Appena potete, compratevi Moby Dick, chiudetevi in casa un paio di mesi (perché è enorme, sia il capodoglio che il libro) e regalatevi questa lettura. Probabilmente la metà di voi lo getterà dalla finestra dopo venti pagine, ma l'altra metà, avrà avuto il piacere di scoprire che un libro che non avreste mai e poi mai pensato di leggere, è in realtà una specie di meraviglioso "Signore degli anelli" ambientato sull'oceano. Queequeg, Starbuck, Stubb, Flask, Tashtego, Daggoo, Pip, Fedallah e naturalmente voi. Moby Dick vi aspetta e vi vuole tanto bene. Bene da morire.
Ho letto "Moby Dick" di Melville e posso dire di aver letto un romanzo bellissimo. Altro che lettura per ragazzi! Non c'è uomo (o donna) che non si farebbe ammaliare dalla figura ipnotica del Capitano Achab e dall'entusiasmo della sua ciurma, nessuno che possa dire di non aver sognato almeno una volta, di salire a bordo di una nave e scoprire posti inesplorati. Moby Dick è un romanzo che ha in sé tutto: è una storia che appassiona, è un trattato sui cetacei, è sociologia, psicologia, economia, giurisprudenza marina, è storia, geografia, scienze, è un'enciclopedia romanzata. Ammetto che Melville possa risultare un pochino noioso a volte, con quelle sue descrizioni così accurate che se ti deve dire che due marinai si stanno cucinando una zuppa, la zuppa te la deve descrivere da capo a coda e raccontarti nei minimi dettagli come fa a venire su così buona e fumante.
Però l'altro lato della medaglia è che Melville, se lo leggi attentamente, te lo fa quasi sentire l'odore di quella zuppa. Melville è così minuzioso che se domani io decidessi di gettarmi all'inseguimento di una balena, magari nel santuario dei cetacei in Liguria, saprei perfettamente come stancarla, ammazzarla, caricarla, squartarla, conservarla e naturalmente mangiarla. Anche adesso, che sono tornato da questo lungo viaggio ma che sono rilassato sul divano, sento addosso l'odore del mare, gli umori dei marinai, il rumore del vento che muove le vele e quel mio compagno marinaio che da la su, ci urla che vede uno spruzzo d'acqua all'orizzonte.
Appena potete, compratevi Moby Dick, chiudetevi in casa un paio di mesi (perché è enorme, sia il capodoglio che il libro) e regalatevi questa lettura. Probabilmente la metà di voi lo getterà dalla finestra dopo venti pagine, ma l'altra metà, avrà avuto il piacere di scoprire che un libro che non avreste mai e poi mai pensato di leggere, è in realtà una specie di meraviglioso "Signore degli anelli" ambientato sull'oceano. Queequeg, Starbuck, Stubb, Flask, Tashtego, Daggoo, Pip, Fedallah e naturalmente voi. Moby Dick vi aspetta e vi vuole tanto bene. Bene da morire.
venerdì 19 maggio 2017
ma non ti accorgi che è solo la paura che inquina e uccide i sentimenti
Ho scritto e riscritto questo articoletto per quattro volte. Sono giorni che ci giro intorno e che cerco di capire come iniziare, come finire, cosa voglio dire. Solo adesso capisco che è impossibile: non riesco a raccontare cosa siano per me le canzoni di Mogol e Battisti. Non c'è modo per dire quanto Battisti mi leghi a mia madre, in una maniera che va al di là delle parole. Non c'è frase che potrei sussurrare a Mogol, se un giorno mai dovessi incontrarlo, per fargli capire quanto per me sia un poeta da libro di letteratura. Non ci riesco. Ogni frase che scrivo mi sembra banale, scontata, già detta da mille altri. Questo è il più breve e inutile articolo che io abbia mai scritto ma lo scrivo lo stesso perché è l'unico modo che ho per urlare al mondo che nella musica italiana ci sono Battisti e Mogol e poi, ci sono gli altri. Grazie.
lunedì 13 marzo 2017
Ah, se fossi nato cent'anni prima, chissà come era bello il mondo nel 1884! (Peccato che poi sarei morto durante la Prima Guerra Mondiale)
Grazia Deledda mi sta simpatica. Sarà perché è nata a Nuoro (nella bellissima Barbagia) sarà perché nessuno mi ha imposto di studiarla al liceo e quindi l'ho scoperta da solo, sarà perché è sarda. L'ho già detto che è sarda? Si è vero, mi sta simpatica e basta, chiudiamola così. Avevo letto, milioni di anni fa, "Canne al vento" e nonostante non ricordi nulla della trama, mi è rimasta la sensazione di aver letto un libro che mi era piaciuto, quando ancora ignoravo che la Sardegna un giorno, sarebbe diventata una parte importante della mia vita.
Deledda dicevamo; oggi (o meglio ieri) ho finito di leggere "Sino al confine", libro che mi è stato regalato e che è stato scelto casualmente, tra i tantissimi scritti dalla Deledda. Il libro racconta le vicende di Gavina Sulis, ragazza cresciuta in un piccolo paese della Barbagia, che non è solo un paese ma che è tutto il suo mondo. Siamo nel 1890 e questo mondo intorno a lei è un quadro immutabile, chiuso, fatto di divisioni sociali, superstizioni, pregiudizi. E come se non bastasse, c'è la religione, che pervade la sua vita e quella di tutti coloro che la circondano. Gavina cresce con il terrore del peccato, con la sensazione che qualsiasi cosa possa fare può nascondere l'errore, la perdizione, la dannazione. Non è facile oggi, leggere un libro così.
Non è facile immedesimarsi in lei e negli altri personaggi. Tra noi e loro ci sono 120 anni di modernità, progresso, caduta di tabù. E' difficile immaginare una ragazzina di 14 anni che a quell'età è già donna, che trema nel guardare un ragazzo e corre a confessarsi per qualsiasi sospiro, che vede dalla finestra della sua camera tutto il suo universo, fatto di strade polverose, montagne e orizzonti sempre uguali, mormorii, malelingue, obblighi morali. E' difficile immaginarlo e immedesimarsi, ma non è impossibile, perché Deledda racconta questa storia con parole semplici, passo passo. Come un fiume lento, noi ci facciamo portare dalla corrente e piano piano entriamo in Gavina e nei suoi pensieri, la conosciamo meglio, cresciamo con lei, la compatiamo, la capiamo, la apprezziamo. La storia poi continua e qualcosa cambia, qualcosa no, bisogna che ve lo leggiate voi, se vi interessa!
Certo, finito il libro, non posso dire di aver letto un capolavoro né il libro più bello della mia vita, ma ho letto una storia semplice, raccontata con gusto e con descrizioni semplici ed efficaci. No, non vi dico di correre in libreria a comprarlo, decisamente no, ma se un giorno vostro figlio dovesse tornare a casa e per compito dovesse studiare Deledda, mettetevi seduti con lui/lei e immergetevi anche voi in questa bella letteratura semplice ed educata. Mamma mia, sto proprio invecchiando.
Deledda dicevamo; oggi (o meglio ieri) ho finito di leggere "Sino al confine", libro che mi è stato regalato e che è stato scelto casualmente, tra i tantissimi scritti dalla Deledda. Il libro racconta le vicende di Gavina Sulis, ragazza cresciuta in un piccolo paese della Barbagia, che non è solo un paese ma che è tutto il suo mondo. Siamo nel 1890 e questo mondo intorno a lei è un quadro immutabile, chiuso, fatto di divisioni sociali, superstizioni, pregiudizi. E come se non bastasse, c'è la religione, che pervade la sua vita e quella di tutti coloro che la circondano. Gavina cresce con il terrore del peccato, con la sensazione che qualsiasi cosa possa fare può nascondere l'errore, la perdizione, la dannazione. Non è facile oggi, leggere un libro così.
Non è facile immedesimarsi in lei e negli altri personaggi. Tra noi e loro ci sono 120 anni di modernità, progresso, caduta di tabù. E' difficile immaginare una ragazzina di 14 anni che a quell'età è già donna, che trema nel guardare un ragazzo e corre a confessarsi per qualsiasi sospiro, che vede dalla finestra della sua camera tutto il suo universo, fatto di strade polverose, montagne e orizzonti sempre uguali, mormorii, malelingue, obblighi morali. E' difficile immaginarlo e immedesimarsi, ma non è impossibile, perché Deledda racconta questa storia con parole semplici, passo passo. Come un fiume lento, noi ci facciamo portare dalla corrente e piano piano entriamo in Gavina e nei suoi pensieri, la conosciamo meglio, cresciamo con lei, la compatiamo, la capiamo, la apprezziamo. La storia poi continua e qualcosa cambia, qualcosa no, bisogna che ve lo leggiate voi, se vi interessa!
Certo, finito il libro, non posso dire di aver letto un capolavoro né il libro più bello della mia vita, ma ho letto una storia semplice, raccontata con gusto e con descrizioni semplici ed efficaci. No, non vi dico di correre in libreria a comprarlo, decisamente no, ma se un giorno vostro figlio dovesse tornare a casa e per compito dovesse studiare Deledda, mettetevi seduti con lui/lei e immergetevi anche voi in questa bella letteratura semplice ed educata. Mamma mia, sto proprio invecchiando.
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Ubicazione:
08100 Nuoro, Province of Nuoro, Italy
giovedì 2 marzo 2017
Mi sono reso conto solo alla fine, di aver letto il libro di una intellettuale comunista: accidenti, ora sono più radical chic di Massimo D'Alema
Qualche anno fa, quando ero ancora giovane e bello, conobbi
una ragazza che abitava in Via Leone Ginzburg (non è importante scrivere la
città, ma non è Roma, tanto per dire). Non frequentai molto quella via ma
ricordo che la ragazza di allora mi disse, la prima volta che lessi quel nome
sul cartello: “Non lo conosci? E’ il marito di Natalia Ginzburg, la scrittrice”.
Non conoscevo né lui né lei, ma quel nome mi è sempre rimasto impresso, tanto
che spesso, quando mi capitava di trovare libri della Ginzburg, ero in dubbio o
no se comprarne uno o meno, spinto da quel ricordo. Alla fine ho ceduto, ed
eccomi qui con “Lessico Famigliare” tra le mani.
Cara Ginzburg, sei stata promossa (almeno per questo
libro), ma non posso fare a meno di riflettere sul cosa sarebbe successo se quella
ragazza avesse abitato in via Michelangelo, o in via Luigi Tenco o in via degli
oleandri: adesso magari, ne saprei di più di arte, di musica e di botanica. Chissà
che sarebbe successo poi, se avesse abitato in Via Moana Pozzi.
Ubicazione:
Torino, Italia
mercoledì 8 febbraio 2017
Posso essere polemico? Mi fate essere polemico? Sarò padrone di essere polemico?
Per chi come me è
pigro, poco ispirato e soprattutto arido di pazienza e disciplina, il
modo migliore per scrivere un buon libro è: non scrivere alcun
libro. Oppure scriverlo a rate, magari trasformando le rate in
semplici raccontini, per poi metterli insieme e spacciarli per libro.
Ma vale? O è considerato barare? A quanto pare non è peccato: le librerie sono
piene di “raccolte di racconti”, magari di un autore famoso che
ha già scritto qualcosa ed è stato convinto dall’editore a
pubblicare tutti i raccontini chiusi nel cassetto, che adesso possono
valere qualche migliaio di copie vendute. Metto le mani avanti: non
è che sia vietato pubblicare racconti, ma almeno avvertite. Almeno scrivete
sulla copertina che si tratta di racconti e non di un romanzo. Voi
direte: basterebbe leggere la quarta di copertina per scoprire
l’arcano! Ma io vi dico che sono pigro (anzi ve l’ho già detto
nelle prime righe) per cui voglio che la questione mi sia chiarita
subito, senza dovermi leggere ogni quarta di copertina della libreria.
Insomma,
avrete capito da questo mio borbottare che recentemente mi è
capitato di cercare un romanzo e di tornare a casa con una serie di
racconti. Volevo approfondire la letteratura sudamericana, in
particolare Luis Sepulveda, che avevo apprezzato nel sempre mitico
“La gabbianella e il gatto che le insegnò a volare” , ma invece
di un bel librone mi sono ritrovato a leggere una ventina di
racconti di tre o quattro misere pagine ciascuno. Questa è una vera e
propria ingiustizia. Ok, ammetto che i racconti erano
piacevoli e che Sepulveda è molto bravo ad osservare le cose e a
riportarle con semplicità, ma vuoi mettere un bel romanzo invece che
tanti raccontelli non legati tra di loro? Se inizi a raccontarmi la vita di un immigrato italiano in Patagonia, dico io, continua, magari mi interessa anche, non ti fermare dopo tre pagine.
Forse sarebbe il caso che
la smettessi di parlar male delle raccolte e cominciassi a
raccogliere i miei di racconti. Certo non mi considero all’altezza
di Sepulveda ma almeno, vedendo i racconti uno sopra l’altro (o un
foglio excel dopo l’altro), potrei quasi credere di aver scritto
già una buona parte di un discreto libro. E se anche poi non fosse vero,
sarebbe almeno una piacevole illusione passeggera, come le rose del
deserto di Sepulveda, che fioriscono solo un’alba all’anno e
che muoiono subito, arse dal sole di mezzogiorno. E dopo questa chiusura poetica e romantica, scusate ma vado a scrivere un
racconto su un cactus che ho piantato in giardino a novembre e che
una notte di gelo invernale, ha strappato alla vita e all’affetto
dei cari. Questo post è dedicato a te, amico cactus.
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lunedì 16 gennaio 2017
Pastorale Americana. Ho detto tutto.
Pastorale Americana di Philip Roth è stupendo. Non c'è nemmeno bisogno di fare un'introduzione simpatica o di raccontare qualche aneddoto per presentare il libro; si va direttamente al sodo. Pastorale Americana è totale, definitivo, irripetile. Philip Roth ha scritto decine di libri ma mi chiedo come abbia fatto, come si possa pensare di scrivere altro dopo aver partorito questo. Non riesco nemmeno a dire che mi sarebbe piaciuto scrivere un libro del genere perché è impossibile scrivere un libro del genere, anche solo immaginarlo. Ma che ne so, Roth si sarà alzato una mattina e avrà pensato: "Voglio scrivere un romanzo sull'America e abbracciare gli anni 40, 50 e 60. Voglio raccontare la storia di una famiglia della medio-alta borghesia e la perfezione della vita di un uomo che si disintegra di fronte alle scelte della figlia". Bhé facile avrà pensato, basta cominciare a scrivere e il resto verrà da sé. Bella roba, la fa semplice il tipo, il resto sarà anche venuto da sé ma è cosa dell'altro mondo.
I personaggi non sono tanti e proprio per questo Roth si prende tutto il tempo per aprirli come un modellino di "Esplorando il corpo umano" e analizzarli, pezzo per pezzo: cuore, cervello, mani, polmoni, occhi, sangue, tutto. C'è tutto in questo libro. Ci sono addirittura delle parti noiose, ma chi se ne importa, in fondo, dico io, anche le parti noiose sono difficilissime da scrivere. Se vi chiedessero di scrivere un racconto noiosissimo, pieno di descrizioni e di pensieri che si accavallano, voi sareste capaci? Pastorale Americana è capitata sul mio cammino per caso: non fosse uscito il film al cinema probabilmente non lo avrei mai letto. Ma è stato come incontrare la donna della tua vita su un treno che non dovevi prendere. Un'avventura lunga (perché non è banale da leggere) e intensa. Meglio di così non si può chiedere.
Non credo di dover aggiungere altro sulla trama che in effetti è molto semplice. Non so se voglio vedere il film; forse si forse no. Ho solo letto che molti lo hanno criticato perché non riesce a trasmettere le sensazioni del libro. E ti credo. L'unico modo per trasmettere le sensazioni del libro è fare un film in cui l'attore legge ad alta voce il testo. Non scriverò mai un libro così ma mi consolo, probabilmente non lo scriverà nessun'altro. Ci dovremo accontentare di leggerlo. E anche riuscire a finirlo tutto non è una cosa banale. Saluti.
I personaggi non sono tanti e proprio per questo Roth si prende tutto il tempo per aprirli come un modellino di "Esplorando il corpo umano" e analizzarli, pezzo per pezzo: cuore, cervello, mani, polmoni, occhi, sangue, tutto. C'è tutto in questo libro. Ci sono addirittura delle parti noiose, ma chi se ne importa, in fondo, dico io, anche le parti noiose sono difficilissime da scrivere. Se vi chiedessero di scrivere un racconto noiosissimo, pieno di descrizioni e di pensieri che si accavallano, voi sareste capaci? Pastorale Americana è capitata sul mio cammino per caso: non fosse uscito il film al cinema probabilmente non lo avrei mai letto. Ma è stato come incontrare la donna della tua vita su un treno che non dovevi prendere. Un'avventura lunga (perché non è banale da leggere) e intensa. Meglio di così non si può chiedere.
Non credo di dover aggiungere altro sulla trama che in effetti è molto semplice. Non so se voglio vedere il film; forse si forse no. Ho solo letto che molti lo hanno criticato perché non riesce a trasmettere le sensazioni del libro. E ti credo. L'unico modo per trasmettere le sensazioni del libro è fare un film in cui l'attore legge ad alta voce il testo. Non scriverò mai un libro così ma mi consolo, probabilmente non lo scriverà nessun'altro. Ci dovremo accontentare di leggerlo. E anche riuscire a finirlo tutto non è una cosa banale. Saluti.
mercoledì 4 gennaio 2017
Vi racconto di un libro brutto ma così brutto ma così brutto, che se ve lo consiglia qualcuno, sappiate che quel qualcuno vi odia segretamente.
Quante volte ho scritto su questo blog di libri che ho visto per anni in libreria e ho sempre desiderato leggere? Un pò perché sono povero, un pò perché sono tirchio, un pò perché non si possono comprare cento libri al mese, ci sono libri che sfioro sempre da Feltrinelli o da Arion ma che non prendo mai. Uno di questi era "Un giorno questo dolore ti sarà utile" di Peter Cameron. Alla fine non ho resistito e l'ho preso (ovviamente al Mercatino dell'usato), così mi sono tolto la soddisfazione di leggerlo e di placare quella mia brama che mi aveva accecato e convinto che dietro quella copertina ci fosse certamente un capovaloro. Ahi, come mi sbagliavo. Non so se Cameron sia un genio della letteratura e io abbia preso un abbaglio ma se qualcuno mi avesse detto che questo libro era un opera prima di uno scrittore sfigato, ci avrei creduto senz'altro. Intendiamoci, non è che sia scritto male o che non sia un libro che si faccia leggere ma è davvero senza senso. O meglio, lo avrei potuto scrivere anche io, se solo fossi uno scrittore.
La trama è la seguente: c'è un ragazzino viziato di New York che ha appena finito il liceo e non vuole andare all'università. In realtà non vuole nemmeno lavorare e non si sa bene cosa voglia fare nella vita. Forse non vuole fare niente, forse vuole andare a vivere da solo in una casa sperduta in qualche stato centrale d'America, forse vuole innamorarsi di un uomo, forse vuole essere vecchio come l'adorata nonna e fare un salto dai 18 direttamente ai 60 anni. Certamente nella mia valutazione, influisce anche il fatto che il ragazzino sia odioso e che andrebbe preso a calci dalla prima all'ultima pagina, possibilmente anche nel sommario e nei ringraziamenti (che non ricordo se ci siano o meno, ma in effetti chi ti vuoi ringraziare dopo sto romanzetto).
Allora la questione qual è? Vale la pena leggere un libro che scrivereste anche voi? Vale la pena passare una mezza giornata (perché quello il tempo che ci vuole) a leggere la storia di un ragazzino che prendereste a bastonate in faccia dalla prima all'ultima riga? Fate un pò voi, che vi devo dire? Io avverto soltanto, di più non posso fare. La prossima volta che andrete in libreria e troverete quella copertina con quel ragazzetto che salta sul corrimano di una scala, sappiate che è quel ragazzino viziato. Sappiate che vorrete picchiarlo selvaggiamente e sappiate che il sor Cameron secondo me ha scritto sto libro tanto per scriverlo e probabilmente glielo hanno pubblicato perché era raccomandato. Beato lui.
La trama è la seguente: c'è un ragazzino viziato di New York che ha appena finito il liceo e non vuole andare all'università. In realtà non vuole nemmeno lavorare e non si sa bene cosa voglia fare nella vita. Forse non vuole fare niente, forse vuole andare a vivere da solo in una casa sperduta in qualche stato centrale d'America, forse vuole innamorarsi di un uomo, forse vuole essere vecchio come l'adorata nonna e fare un salto dai 18 direttamente ai 60 anni. Certamente nella mia valutazione, influisce anche il fatto che il ragazzino sia odioso e che andrebbe preso a calci dalla prima all'ultima pagina, possibilmente anche nel sommario e nei ringraziamenti (che non ricordo se ci siano o meno, ma in effetti chi ti vuoi ringraziare dopo sto romanzetto).
Allora la questione qual è? Vale la pena leggere un libro che scrivereste anche voi? Vale la pena passare una mezza giornata (perché quello il tempo che ci vuole) a leggere la storia di un ragazzino che prendereste a bastonate in faccia dalla prima all'ultima riga? Fate un pò voi, che vi devo dire? Io avverto soltanto, di più non posso fare. La prossima volta che andrete in libreria e troverete quella copertina con quel ragazzetto che salta sul corrimano di una scala, sappiate che è quel ragazzino viziato. Sappiate che vorrete picchiarlo selvaggiamente e sappiate che il sor Cameron secondo me ha scritto sto libro tanto per scriverlo e probabilmente glielo hanno pubblicato perché era raccomandato. Beato lui.
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